Burke, Solomon – Make Do With What You Got

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E’ possibile rinascere a 60 anni? Dopo l’ascolto di “Make Do With What You Got” la risposta non può essere che “si”. Già nel 2003 King Solomon aveva sorpreso tutti con il bellissimo “Don’t Give Up On Me” e ora a poco più di 2 anni di distanza la storia si ripete: “Make Do…” continua il discorso interrotto dal suo predecessore ma va anche oltre. Se nel precedente album Burke interpretava brani scritti appositamente per lui da alcuni dei più grandi autori di sempre con il piglio del cantautore in questo il vescovo si spinge oltre. All’ora infatti egli aveva limitato la sua potenza vocale a favore di una maggiore espressività; esperimento pienamente riuscito ma in alcuni brani si sentiva la mancanza del Solomon a piena potenza, di quella voce che da sola vale una orchestra intera. In questo disco invece il problema non si pone perché il re da libero sfogo alla sua ugola e il risultato è sensazionale. Burke prende le canzoni e le fa sue come nessuno sa fare, se le cuce letteralmente addosso sciorinando il suo celebre rock n’ soul, che forse in “Dont’ Give up..” era stato un pochino messo da parte, e a noi non resta altro che toglierci il cappello davanti a tanta maestosa grandezza. Come sempre l’elenco degli autori è da pelle d’oca: Bob Dylan, Van Morrison, Jagger-Richards, Robbie Robertson, Hank Williams, gente che ha scritto capolavori a non finire ma ovviamente questo non basta. Avere tra le mani una grande canzone non serve a nulla se non si ha la capacità di impossessarsi dello spirito della stessa e di renderla propria e sta proprio qui la grandezza di Solomon Burke . Ad accompagnarlo in questa sua nuova fatica siede in cabina di regia il produttore Don Was mentre i musicisti sono tutti di grandissimo livello partendo dal fenomenale tastierista Rudy Copeland (che non ha certo bisogno di presentazioni) per arrivare alle chitarre di Reggie Young e Ray Parker davvero efficaci Ma ora bando alle ciance e passiamo alle canzoni che sono le vere regine di questo album. Il disco si apre con “I Need Your Love In My Life” di Carlos Montoya un soul – blues dal ritmo travolgente che subito ci fa capire che il vescovo è tornato, una potenza vocale devastante che sprigiona tutta l’immensa cuore soul di questo gigante. “What Good Am I?” di mastro Zimmerman è una ballata con venature funky di cristallina bellezza: Burke la canta come se la conoscesse da sempre dando sfoggio di tutta la sua abilità passando e quando pesta sull’acceleratore per innescare il ritornello non c’è n’è per nessuno. “It Makes No Difference” è proprio quella di The Band ma si stenta a riconoscerla; King Solomon le da una impronta soul – gospel incredibilmente azzeccata e forse ne svela la vera anima. Fino ad ora ottime canzoni e classe da vendere ma il bello viene più avanti, sono soprattutto due i brani che elevano il livello del disco, che gli fanno fare il vero salto di qualità . “At The Crossroads”, scritta dall’”irlandese” per antonomasia (Van Morrison of course), è semplicemente meravigliosa. Si tratta di una ballata crepuscolare in chiave country da lasciare senza fiato. Burke è magnifico nel far scivolare la sua voce in modo avvolgente e sensuale per poi partire con delle “impennate” che sembrano della stilettate dirette al cuore . Di tutt’altro genere invece è “I Got The Blues” (Stones), uno slow blues- gospel sensazionale con il vescovo che da libero sfogo a tutta la sua potenza a tutta l’ incredibile gamma di suoni e colori che la sua voce è in grado di creare giungendo ad un finale da cardiopalma . Questo è il Solomon Burke che preferisco e che resta inavvicinabile per il 99% dei cantanti ancora in vita. Questi, a mio avviso, i capolavori ma il resto delle song non è certo da buttare, anzi! Partendo dalla title track, scritta appositamente per lui dal quel volpone di Dr. John, per arrivare alla conclusiva “Wealth Won’t Save Your Soul” di Hank Williams, è un continuo di evoluzioni vocali da spellarsi le mani. Solo qualche anno fa il regno di Solomon Burke, conosciuto universalmente come il “king of rock n’ soul” sembrava essersi sgretolato, distrutto dalle discutibili scelte del nostro che si era fatto ammaliare dal pop e dalla disco music; fortunatamente il vescovo ha capito che quella non era roba per lui e si è rimesso la tunica. Il risultato è qui davanti ai nostri occhi e alle nostre orecchie. Solomon Burke si è rimesso di prepotenza sul suo trono e sono convinto che non ci scenderà tanto facilmente, al mondo non c’è nessuno in grado di rivaleggiare con al sua ugola quando il campo da gioco è il soul. Facciamo un inchino e corriamo tutti ad acquistare questo album, ne vale davvero la pena