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Cieli, nebbia, strade, luci, fumo, macchine, pioggia, pianeti, distorsioni violente si stringono ossessivamente ai suoni del mondo parallelo, inquietudine e solitudine espresse nervosamente con chitarre maltrattate e campionamenti tesi e logoranti, noia e paranoia urlate con la rabbia di un martellante bit o con la grazia di un’acustica. No, non è Torino e neanche un’inquadratura di Marco Ponti. Questa volta siamo a Firenze. Un comune sogno adolescenziale che prende vita nell’89 tra una parrocchia e un centro sociale. Binomio stravagante in effetti! Il 95 è l’anno del propizio incontro con un talent scout/produttore dell’IRA e della pubblicazione di un Ep (Hello). Il 96 invece è l’anno di “Radio”, primo lp dei toscani Interno 17. Effettivamente si può affermare che circa dieci anni fa anche il rock italiano ha deciso di lasciarsi contaminare dall’elettronica e “Radio” ne è un esempio. Un esperimento di rock emozionale macchiato da ossessionanti campionamenti che ritrae crudelmente il disagio di un’anima nervosa, che vaga frenetica senza una direzione, avvolta da una nebbia egoista che impedisce una lucida visuale (Fino A Dove Si Può Arrivare). Una voce angosciosa e sofferta introduce paradossalmente il sorriso di una figura con tutta probabilità femminile. Cresce cautamente assediata da bit insistenti e da una chitarra brusca e tagliente, finendo per esplodere in un improvviso refrain prima dolce ed acustico, filtrato e distorto un attimo dopo (Ridi). Arriva “H24” al limite dell’underground. Svelta, tesa, chitarre tormentate perseguitate da rumori cosmici. Finiamo immersi in una immagine allucinata “…densa follia piccola ruvida…”, lasciandoci percepire uno stato emotivo in totale delirio “….erotica estasi chimica, metropoli acida senza stop”. Degno di nota è il primo singolo con cui si sono presentati (Sottovoce), in cui la voce torna filtrata e claustrofobica ad esprimere l’aridità e la solitudine di un rapporto. C’è spazio anche per i violini e per una dolciastra ballata acustica (Volando In Solitudine), libera da ogni genere di suono “artificiale” e forse con un segnale di fiducia e positività in più rispetto all’intero album, contrariamente a quanto si possa intendere dal titolo. Fino a dove si può arrivare?….Non molto lontano purtroppo, o meglio, per adesso è meglio evitare avventati pronostici! Perché?…Colpa di una abietta meritocrazia! Quasi dieci anni sono passati dall’uscita di questo album purtroppo ampiamente sottovalutato. Dopo pochi anni e dopo un secondo album, di livello nettamente inferiore sono spariti dalle scene. Chiedersi quali siano stati i motivi? Troppo tardi! La “cultura musicale”? E’ diventata purtroppo un dovere e se non si nasce passatisti si viene condannati come superficiali. Lo scenario è cambiato, gli ascoltatori sono cambiati e probabilmente anche gli stessi Interno 17, che stanno provando faticosamente a riemergere. Sicuro è che “Radio” fu l’ennesima dimostrazione che l’underground italiano sapeva tirar fuori solo pregiate “creature” e che le nuove generazioni non hanno poi tanto colpa se sono inconsciamente costrette ad urlare “….usami, straziami, strappami l’anima…”.