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“Pe’ quante spine tu m’hai messe ’n core.” Basterebbe questa frase a cancellare qualunque gruppo emocore presente, passato e futuro. Gli Zu insieme a Geoff Farina, Giampaolo Felici, Luca Venitucci e Valerio Borgianelli danno alle stampe il disco della vita, niente da fare. Per quanto possa apparire snob elogiare un disco che riprende i temi e le canzoni della tradizione romana, niente può smentire l’affermazione di trovarsi davanti ad un capolavoro che niente ha da invidiare a nomi ben più blasonati come Nick Cave e Johnny Cash. La Roma dei coltelli e dell’amore, l’hardcore de’ Regina Coeli e San Michele prima che duecento anni dopo il punk ci mettesse le mani sopra, sono rappresentati in un lavoro che mette di fila dieci drammi della vita dei borghi capitolini senza confine di genere, semplicemente attualizzando le sonorità di quelle storie maledette. Viene impossibile citare un pezzo a discapito di un altro: scegliere tra la parabola discendente della vita di un uomo cui neanche le invocazioni alla Madonna potranno porre rimedio o ancora la morte del barcaiolo davanti al figlio che saluta il suo rientro, o i tradimenti al di fuori della vita di carcere significherebbe distruggere il percorso di morte e redenzione che trova la sua naturale fine nell’invocazione d’amore nella Serenata De Paradiso. Rimane perciò, dopo aver assodato l’imprescindibilità totale di questo disco, da citare assolutamente la fantastica esibizione vocale di Giampaolo Felici e il bellissimo artwork a cura di Scarful che, rievocando l’iconografia carceraria dei tatuaggi, riesce a testimoniare ancora una volta l’impatto emotivo devastante di queste dieci Murder Ballads de Trastevere.