Zen Circus, The – Life And Opinions Of Nello Scarpellini, Gentlemen

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Rock ‘n’ roll. Ma non di quello scontato e adolescenziale che ormai ci travolge quasi quotidianamente. Piuttosto un suono viscerale e caldo quello dei The Zen Circus, italiani di nascita ma col pensiero musicale volto all’Inglilterra e agli Stati Uniti degli anni 60, sponda psichedelica, qui con 12 nuove canzoni, in cui si alterna cantato in italiano ad inglese e in un episodio anche in francese, davvero entusiasmanti. Immediati, sfrontati, eppur raffinati nei ricami di chitarra (“Les poches sont vieds lesgens sont fous”), così come nel disegno ritmico (si noti il gusto latino americano di “L’inganno”), e ancora attenti, nei testi, a denunciare i luoghi comuni del quotidiano e a destinare stima e riguardo ai loro ricordi di giovani incuriositi dai paradossi e dalle stranezze. Sensazioni queste che si traducono in brani come la bizzarra, divertente quanto agra, “I baNbini sono pazzi” o in “Fino a spaccarti due o tre denti”. Freschezza, rabbia, un certo tono irrequieto ma mai degenerato nella spavalderia tipica di molti altri gruppi italiani, in “Aprirò un bar”, mentre si tenta la composizione della pop song perfetta in “A kind of pop lullaby” una song che, come giustamente dicono gli Zen Circus nelle note del booklet, sarebbe piaciuta molto anche a Little Tony e a Rita Pavone, per non parlare del rock ossessivo, cadenzato nel riffing, dall’alto potenziale da sigla cinematografica, di “Colombia”. Resta il fatto che il brano posto in apertura, “Dead in July”, rimanga il mio preferito, un concentrato di energia rock ‘n’ roll e citazionismo psichedelico nella struttura strofa/ritornello che lascia spazio ad un gustosissimo sunshine pop nei break melodici. E lo sanno anche loro: questo brano, fosse stato di qualsiasi altro gruppo d’ oltre oceano posizionato minimamente oltre la soglia dell’anonimato, staremmo a definirlo come un possibile tormentone. Ne ha davvero tutti i numeri. Un gran disco di un piccolo, grande gruppo.