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Laddove finiva il percorso DNA negli OvO ricomincia come se nulla mai fosse successo. Stefania Pedretti (Allun) e Bruno Dorella (Wolfango, Ronin, Bachi Da Pietra e migliaia di altri progetti) indagando sulle possibilità del suono al limite tra idea e realizzazione riportano il discorso sull’asse punk-blues e lo infarciscono di centinaia di rumori fino a sfregiarne a colpi di rasoiate l’identità. Bruno colpisce dovunque può con la batteria, creando un tappeto ritmico multiforme che ben si adatta ai deliranti fraseggi chitarristici memori della lezione di gente come Royal Trux, Sonic Youth e, eccezionalmente, Pussy Galore. A condire il tutto i gorgheggi di Stefania, sempre più vicina ad una Kim Gordon in una sorta di crisi demoniaca, e varie modulazioni di frequenza/violini impazziti. Diventa incredibile citare tutti i momenti e gli stili dell’album che partono da malinconiche aperture di chitarra fino a sconnesse urla modello Diamanda Galas, per passare poi a momenti di puro noise o a pugni in faccia dal sapore quasi metal. Quel che ne resta è un lavoro paradossalmente per tutti ma non per molti, che non tenta neanche, in secondo battuta, di nascondere il suo attaccamento alla forma canzone pur distruggendone all’interno tutti i canoni con facilità disarmante. A testimoniare che la scena d’avanguardia italiana è più viva che mai.