Sonic Youth – Sonic nurse

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Dopo così tanti anni e tanti dischi nessuno sotto il livello di “buono” (di dischi veri e propri qui si parla, i lavori editi dalla SYR meritano una storia a sé), fa riflettere come questi ragazzi di New York riescano a creare un album di una freschezza dirompente, quando in giro ci sono gruppi che mostrano la corda già alla seconda uscita (come alcuni loro concittadini molto giovani e famosi). La via è quella tracciata dal precedente “Murray street”, ma “Sonic nurse” risulta migliore anche perchè più lineare: dieci canzoni tutte perfette, con meravigliose trame sonore e senza le troppe solite lungaggini ultranoise comunque sempre di gran classe. Colpisce una Kim Gordon che, viste le ultime pessime prestazioni, non strazia con il suo cantato, ma risulta addirittura convincente: gli esempi più lampanti sono sicuramente in “Pattern recognition” e “Kim Gordon and the Arthur Doyle hand cream”. Ma ricominciamo con ordine da capo: la già citata “Pattern recognition” mette in mostra tutti i pregi del gruppo: chitarre che si incrociano veloci, per poi rallentare in una nebbia di sottili rumori e infine ripartire con giri diversi. Il risultato è più che convincente, ma quello che segue è ancora meglio: “Unmade bed” e i 7-minuti-e-passa di “Dripping dream” (con i suoi infiniti cambi) sono due composizioni su cui lasciarsi tranquillamente trasportare. I Sonic Youth rappresentano sempre una garanzia. “We turn the light on your lonely home” canta Thurston Moore in “Stones”, e questi pezzi abbracciano e danno calore: mi sento a casa e non mi sento solo. Ecco “New Hampshire”, sensazioni liberatorie, spazi ampi e B.B. King. Quale chiusura migliore se non con le favolose (e politicamente impegnate) “Paper cup exit” e “Peace attack”? La prima, unica canzone cantata da Lee Ranaldo, indaga l’importanza della memoria storica (“Memory disease across United States”), la seconda è passionalmente incentrata sul grande “anti-hate” e su come “springtime is wartime”. Di qualità inferiore forse rimane solo “I love you golden blue”, ma è un dettaglio trascurabile. Ciò che conta è che “Sonic nurse” si fonda su semplicità e impatto, sulle solite ma magistrali chitarre e sull’assoluta mancanza di posa che da anni fortunatamente caratterizza la band: tutto ciò lo rende uno dei loro dischi migliori, sicuramente a livello di “Dirty” e “Sister”. Tutto il resto non conta.