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La domanda che ovviamente non affliggerà la stampa specializzata, che sarà troppo occupata a tessere le lodi della classica next big thing, è la seguente: i Constantines piacciono perché, in fondo, sono bravi oppure perché gli Afghan Whigs sono stati così unici che trovarcisi fronte ad un gruppo che li cita senza pudore fa saltare di gioia dalla sedia? Tutt’al più sembrava quasi necessario un gruppo che ci risollevasse dall’imbarazzante carriera solista di Greg Dulli, soprattutto se il gruppo in questione riesce a farlo mescolando da una parte il classico sound alla new wave scavafosse, ma dall’altra la quadratezza sbilanciata dei Fugazi. Il risultato è ovviamente meno soul dei Whigs e meno punk dei Fugazi, ma non certo senza interesse: i Constantines al terzo disco suonano così inizio anni novanta che il solo sentire i riferimenti sbiancati alle linee vocali di Dulli ci fa riempire di gioia. Il problema arriva quando nel disco appare la fantastica Lizaveta, sorta di ballad post grunge con tanto di sezione fiati alla deriva, e ci fa notare che le potenzialità del gruppo finiscono alla quarta canzone, quando hanno già detto praticamente tutto quello che avevano da dire in fatto di recupero del rock d’annata e innesti quasi moderni. Fosse stato un EP qui si sarebbe gridato di gioia invece di inveire sulle inflessioni alt.patinate del gruppo che, non contenti di aver riempito un potenziale bel disco di ben sei canzoni inutili ci buttano alla fine pure la ballatona folk americana. E pensare che potevano essere promossi.