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Al fine di placare almeno in parte l’attesa per il debutto dei Mastodon su Warner Bros, la Relapse da alle stampe questo Call of the Mastodon, la pubblicazione cioè del demo (chiaramente remixato e rimasterizzato a dovere) con il quale un po’ di anni fa i quattro facevano la questua presso le etichette indipendenti, nella speranza di ottenere un contratto. Premesso che tre quarti delle canzoni che qui sfilano facevano già parte del loro Ep di debutto Lifesblood, il lavoro di emendatio operato dai tipi della Relapse risulta comunque gradevole fin dal principio: chiunque abbia mai ascoltato il suddetto Ep vi potrà infatti facilmente confermare la scarsa fruibilità che lo caratterizzava: vale a dire suoni decisamente “fuori controllo”, con un risultato di diffusa pesantezza generale. L’opera di restauro finalmente rende giustizia al primissimo materiale della band e ci permette di apprezzare ottime canzoni quali “Shadows that move” e “We Built this Come Death”, che in versione originale affondavano inesorabilmente sotto gli ingenerosi colpi di una registrazione spinta ai limiti del farsesco. In particolare tutto il materiale rivisitato si pone come una testimonianza diretta del fatto che fin dai primi vagiti la band dimostra la propria sciolta padronanza in materia di commistione di generi e sciorina un’alternanza bastone-carota che andrà sempre più consolidandosi nel proprio stile(Si ascolti “Thank you for This”). Le ultime tre tracce sono invece brani scartati dal loro debutto ufficiale e, pur rifuggendo in ogni modo possibile quella melodia che volenti o nolenti emergerà nel loro suono in futuro, si collocano grossomodo sulle stesse frequenze degli altri episodi. Citazione per “Slickleg”, i cui riferimenti musicali si fanno meno fumosi che altrove, manifestando subito un’ influenza di stampo thrash con occasionali sortite al limite del grind. Più in generale questa raccolta non fa altro che riproporci il tentativo (riuscito) di messa a fuoco del sound che sarà di Remission, le cui cadenze sono qui abbozzate già in maniera piuttosto avanzata. Dunque acquisto consigliato ai fan di vecchia data (soprattutto se i suoni di Lifesblood vi avevano lasciato un po’ di amaro in bocca); tutti gli altri troveranno invece terreno più fertile nei due album veri e propri della band o negli imprevedibili sviluppi futuri, sicuramente degni di quell’attesa e trepidazione che questa raccolta pretende (invano) di alleviare.