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È solo il suo secondo album, però la faccia è quella di un bel mascalzone del blues che di esperienze ne ha fatte eccome, e le canzoni che danno vita al disco non fanno che confermarcelo. Donne, amore, vino, amici e musica, sono questi gli ingredienti che Folco Orselli sapientemente amalgama regalandoci “La Spina”, album di rara intensità che personalmente reputo fra le migliori cose uscite nel panorama italiano durante gli ultimi anni. Ho letto di molti paragoni fin troppo facili a proposito della voce di Folco: ora ricorda Louis Armstrong, ora Paolo Conte, ora il primo Capossela e addirittura Paolo Belli (che se suonasse musica degna non sarebbe affatto male come artista, ma sorvoliamo) o Tom Waits… Paragoni legittimi, per carità, ma a mio avviso spesso abusati, che rischiano solamente di creare un’immagine assai limitata dell’artista Folco Orselli, dotato invero di una spiccata personalità nata in un contesto musicale che da troppo tempo non si faceva sentire, quello della Milano dei Navigli, coi suoi allora fumosi locali, dove uomini e donne, vino e musica davano vita ad un’atmosfera allegra seppur venata di malinconia e di un ruvido romanticismo, la quale però mai era priva di quella voglia di vivere che porta a sdrammatizzare anche le situazioni più spinose, pensando che in fondo sì, domani è un altro giorno e finché ci sarà della bella musica e un bicchiere di barbera o champagne, allora va bene anche così. Sì, vedo Folco Orselli più come l’erede blues di gente come Enzo Jannacci o il mai troppo rimpianto Giorgio Gaber, simbolo – auspico – della rinascita di una Milano musicale più ruspante e genuina, messa sgarbatamente in disparte dalla “Milano da bere” yuppie e fighetta. Mai banale tanto nei suoi pezzi più ruspanti (“La strada” e “Blues per lei” su tutti), quanto nei momenti più romantici (“Burattino senza feeling”, “Vorrei dirti altre parole” e la struggente “La spina”), Folco è un artista completo dotato di un grande carisma che è riuscito a riproporre su disco le sensazioni che si provano ascoltandolo di notte, in uno di quei locali in cui ama tanto girovagare. Augurandoci che continui a regalarci emozioni con questo suo blues jazzato all’italiana, figlio della notte e di una vita intensa duranti anni di gavetta nei club dello stivale, non possiamo che segnalare nuovamente questa sua seconda opera come una delle uscite più interessanti degli ultimi tempi, ulteriore conferma dell’ottimo stato di salute del cantautorato italiano più genuino.