Red Hot Chili Peppers – Stadium Arcadium

Acquista: Data di Uscita: Etichetta: Sito: Voto:

Quello che sono è: orfani di Madre Prurigine. Quello che fanno è: attaccarsi a qualsiasi cosa – Beach Boys, rock progressive, fiati, nostalgia, Omar Rodigruez – possa aiutarli a colmare la lacuna del lutto. Che è senz’altro un atteggiamento più onesto rispetto a quello di chi, per fuggire ad una da troppo latente andropausa, si arrampica sulle palme delle isole Figi, con conseguenze disastrose…
Da sei-sette anni a questa parte i redivivi Peppers cercano il modo per non sembrare così tristemente loro stessi: si vestono sul palcoscenico e trascurano l’amata carne per darsi in toto allo spirito, nelle mani di quel guru redento che è il graffiatissimo Frusciante. La fase in attraversamento è del tipo “okay, non abbiamo più il fisico né la voglia di Succhiare Baci o di fare Party sulla Fica ma abbiamo seria intenzione di sostituire i vecchi pezzi di culto con dei nuovi.” Partita a perdere fin dall’inizio, chiaro, non foss’altro che per questioni di età (neanche i migliori hanno scritto pezzi da Pogo come Dio comanda, superati i quaranta); ma nello Sforzo di spalmare tutto lo spalmabile su questo mastodonte a due teste che è ‘Stadium Arcadium’, qualcosa di buono salta fuori. Se non altro nel tentativo di ritagliare uno spazio per i muscoli del povero Flea, tanto bistrattato dalle melodie del capitolo precedente, con il ripescaggio di quel funky che non t’aspetti. E malgrado riferimenti alla Magia, all’Amore, e al Cosmo continuino a sprecarsi per tutti e due i volumi, una volta tanto John scende dall’Iperuranio dei Meditanti e torna sulla terra con uno dei lavori di chitarra più eccitanti di quest’anno nella categoria Guitar Sound (ovvero quel lavoro di chitarra per chi non sa veramente suonare la chitarra – vedi anche sotto la voce Arctic Monkeys). Nel disperato tentativo di ricostruire un repertorio a loro (attuale) immagine e somiglianza, i Red Hot puntano sia sulla quantità che sulla varietà, che magari non li riporterà ai tempi di Mother’s Milk, ma che grazie a Dio li toglie da quel pantano desolante immortalato nel ‘Live at Slane Castel’.
Spiacente per le ambizioni nirvaniche di Frusciante e soci, ma qua si sente ancora chiaro l’odore della mera, ingombrante, limitante e sporca Carnazza di un tempo!