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Per chi non lo sapesse, e per chi apprezza il death melodico (o death “progressivo”, o insomma ci siamo capiti): consiglio fortemente il disco precedente di questo sottovalutatissimo act tedesco.
Il disco in questione, uscito ormai più di due anni fa, risponde al quantomai profetico titolo ‘Back to Times of Splendor’. E quello sì che pescava dritto nei tempi dello splendore, rielaborando tutto il death svedese con una freschezza e una varietà veramente lodevole.
Poi i Disillusion hanno cambiato logo, hanno adottato un look post-punk/new wave/goticc, ed ecco che il tanto atteso – almeno da me – nuovo disco, è una tremenda delusione. Intanto non c’è più traccia di death metal, per quanto melodico, ma c’è un metal continuamente tenuto su ritmiche medio-lente, zeppo di inserti elettronici e “sperimentazioni”. Il che, comunque, sarebbe solo una piacevole variazione di rotta, se portata avanti con intelligenza. Il problema è che per il 70% del disco il signor Vurtox, che quando gli va di cantare può fare praticamente qualsiasi cosa voglia, qui si limita a biascicare qualcosa con la voce coperta da decine di filtri inutili e fastidiosissimi. Ogni tanto gli va di culo, e scatta il ritornellone “catchy”, ma “catchy” per modo di dire, perché comunque di tutto il disco si salvano 3-4 canzoni, e guarda un po’ sono quelle canzoni in cui evita di cantare in maniera ridicola e si prodiga nel cercare qualche soluzione melodica delle sue – ed ecco che qui si sentono lontani echi di un passato invidiabile.
“Dread It” parte bene, sembra quasi risollevare l’impatto tremendo della prima traccia con un ritornello veramente maestoso e coinvolgente. Lasciamo stare la vergognosa “Don’t Go Any Further”, e con l’attacco di “Avalanche” si spera in una ripresa. Peccato che non si decolla mai, precipitando poi nell’irritante “Aereophobic”, tra vocine cyber-wannabe e cori operistici.
Di colpo una specie di miracolo, dopo una prima metà abbastanza disastrosa, gli arrangiamenti si riavvicinano lontanamente a quella “Alone I Stand in Fires” del disco precedente. Sempre canzoni da 4-5 minuti, ma finalmente con delle linee vocali decenti e un po’ di dinamismo a livello tecnico. Comunque, togliendo la strumental-inutile “Lava”, si rimediano solo un paio di pezzi salvabili.
Perché questo disco? Capisco la voglia di innovarsi, capisco l’evoluzione, l’essere progressivi, capisco il fascino oscuro dell’essere un po’ gotici, ma c’era bisogno di buttare un’esordio come ‘Back to Times of Splendor’ al vento?
Forse si. Così mi imparo ad aver fiducia in un gruppo chiamato Disillusion.