Ok Go: A Million Ways to be cool

Di tutta la gente venuta al circolo per il concerto degli Ok Go un 5% è venuto per piacere, un 15% per curiosità e il restante 80% per il balletto finale di “A Million Ways”. Io sono tra quell’irrisorio 5%. Li ho già visti come apertura ai Flaimng Lips e, tutto sommato, non sono stati malvagi dal vivo. Sono frizzanti, rodati al punto giusto da saper tenere un palco, coinvolgenti e poi, diciamolo, sono anche 4 personaggi. E contando che il bassista è “davvero” un personaggio, uno di quelli che vale doppio, potremmo dire che in totale sono 5 personaggi. Strumenti vintage(lo stesso bassista suona un Fender Coronado, praticamente introvabile), vestiti vintage (il cantante ha un fermacravatta grande quanto un sapone di marsiglia), scenario vintage (milioni di pattern anni 60/70 che si accavallano freneticamente alle loro spalle) e anche la musica… beh, a pensarci bene è vintage pure quella. Ma sì, diciamolo. Gli Ok Go non hanno inventato niente di nuovo, e neanche ci si sono impegnati. riff un po’ “cafoni” ma pur sempre efficaci, essenzialità sixties alla kinks ma approccio moderno alla Everclear, coretti in falsetto in stile Beatles, sfacciataggine alla Austin Powers (a proposito, il secondo chitarrista ne deve essere il cugino) e “paraculaggine” pura in stile Jet. Insomma, un più o meno perfetto mix di retrò e modern hits. Una dietro l’altra eseguono le canzoni del fortunato “Oh No”; album che dopo una lunga stasi nel dimenticatoio delle playlist è passato nella top 50 prima, e nella top 20 poi. Il tutto grazie a una serie di formidabili balletti, l’ultimo dei quali, tra 8 tapis roulant è stato anche proposto dal vivo agli ultimi VMA. Come fai, se non per la musica almeno per la curiosità, a non posare un minimo l’attenzione su un gruppo così? E gli Ok Go sono consci del fatto che stanno vivendo il loro piccolo momento di gloria, e ne approfittano. Non sono animali da palco (anche se il chitarrista si lancia da 2 rampe di amplificatori), non sono abili intrattenitori ( anche se sporgendosi tra il pubblico, sempre lui consiglia a uno spettatore “ehy, ti vedo svogliato, vai a farti una birra così ti vedo più preso”, e gli allunga 10 euro), non hanno un repertorio vasto (anche perchè l’omonimo “Ok Go” è fuori produzione da un paio d’anni e quelle poche proposte sono state scambiate per pezzi nuovi…), ma hanno vissuto on the road e sui palchi quel tanto che basta per lasciare soddisfatti e quasi convincere. Coprono la carenza di varietà stilistica con un’esecuzione impeccabile, miscelando sapientemente le 4 voci e utilizzando anche una tastiera in alcuni pezzi, plagiano il rock anni sessanta e si autoplagiano a loro volta, ma l’impertante è il divertimento e quello non manca, tanto che ci scappa pure un pogo che spiazza gli americani accorsi alla serata (che da voi non si poga? Mah…). E dopo 45 di overdrive al massimo si è pronti per il gran finale. Si sgombra approssimativamente il palco e i 4 eseguono il loro vero trampolino di lancio che, sia ben chiaro, non è la canzone (che poi è il pezzo più originale di tutto l’LP) ma il balletto di A Million Ways che, se non l’avete mai visto beh… probabilmente negli ultimi 4 mesi siete stati sulla luna. E a fine live, tirando le somme, il 5% accorso per piacere esce dal circolo un po’ dubbioso e molto sudato, il 15% divertito ma non esaltato e il restante 80% soddisfatto pienamente. A conti fatti un successone… almeno secondo le statistiche. P.s. – forse non lo sapete ma c’è una piccola band, di Keighley, In inghilterra che, ogni volta che gli capita di sentire o vedere gli Ok Go si guarda attorno un po’ stranita… senza parole,.. poi alza le spalle… ci pensa un attimo… e non sa darsi spiegazioni. “Sono come noi, con la stessa nostra formazione, il nostro stesso sound, e i pezzi sono come… anzi, oggettivamente i nostri sono anche meglio… ma allora perchè non siamo noi? Possibile che 2 orridi pattern vintage facciano la differenza?”. Sono I Terrorvision ed erano veramente un gran gruppo pop rock. Hanno dato l’addio alle scene con “Shaving Peaches” un album che “Oh No” se lo mangia a colazione con tanto di ruttino finale. La verità a questo interrogativo, caro il mio Tony Wright. è che una spiegazione non c’è. O forse l’unica è semplicemente che tu, all’epoca, nel lontano 98 non avevi la casa col giardino, o per lo meno non tanto grande da ballarci dentro.

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