Beirut – Gulag Orkestar

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Ci sono cose che riescono ad essere talmente splendide che non riesce a notare subito la loro magnificenza, ma che quando riesci a coglierla non puoi smetterla di amarla. ‘Gulag orkestar’ dei Beirut ha avuto questa vita nel mio stereo, e dopo un po’ di ascolti distratti mi è entrato nel cuore e nella mente grazie a una forza e a un carattere che raramente ho trovato nei dischi moderni.
A partire dalla danza funebre iniziale della titletrack, passando per la geniale costruzione di “Postcards from Italy” fino all’immensa “The bunker” con i suoi degeneri di fiati non c’è un attimo di pausa emotiva in questo album.
Come un pacifico esercito disarmato che si fa strada con trombe e gonfaloni strappati questo giovanissimo artista (ebbene si, Beirut è praticamente una one man band nonostante alcune collaborazioni al disco) introduce l’ascoltatore in una selvaggia parata che parte dalla musica balcanica per poi disperdersi in una miriade di influenze e contaminazioni che vanno dal rock alla canzone d’autore, il tutto accompagnato da una voce che sembra uscire da un grammofono degli anni ’50.
La splendida copertina è ottimo quadro di questo ‘Gulag orkestar’, un viaggio scalcinato nell’Europa più polverosa e affascinante, nell’eleganza del torbido e dell’antico che diventa attuale nelle mani di questo promettente genio delle sette note. Ma anche le immagini dei film più onirici di Fellini sarebbero state perfetto contenitore per quest’opera entusiasmante, anche nella sua spiazzante parentesi elettronica di “Scenic world” e nello strambo commiato “After the courtain”.
C’è ancora bisogno che vi dica che questo secondo me è il disco migliore del 2006 e che sarebbe follia lasciarselo sfuggire?