L'aria che si respirava al Buridda ieri sera era decisamente alcolica, ma del resto non c'è da stupirsi se prima dei concerti c'è stata la rassegna sul vino preparato con uve biologiche Critical wine. Il fatto è che questa manifestazione ha influito in diversi modi, positivi e negativi sulle esibizioni dei musicisti. Il fatto positivo della concomitanza tra questi due eventi è sicuramente il gran numero di persone (la maggior parte visibilmente ubriache) che è rimasta anche per sentire i gruppi andando ad affollare la stanza davanti al palco. Il primo fatto negativo è la presenza di personaggi alquanto molesti. Succede così che il fenomenale contrabbassista Stoni si trovi a dover suonare con un non proprio fenomenale sottofondo di urla, alcune anche d'autore ad opera del mitico cantante dei Sensasciou Bob Quadrelli (che si esibisce anche in un incomprensibile freestyle a fine serata). Nonostante questo l'ottimo musicista genovese esegue il suo interessantissimo set andando a distruggere letteralmente tra loop ed effetti le note che escono dal suo contrabbasso, le sonorità prima classiche vanno a costruire un suono elettrico sempre più snaturare la musica iniziale. L'avevo già sentito dal vivo e mi era piaciuto, ieri sera ha confermato le mie ottime impressioni. A pagare maggiormente la presenza di troppa gente non solo alticcia ma anche disinteressata a quello che succedeva sul palco è il musicista elettroacustico Filippo Ratti che chiude la sua esibizione composta da un lento sottofondo di note appena sussurrate da chitarra e da loop mischiate con al sua voce quasi sussurrata solo dopo due canzoni. Un vero peccato perché la sua musica era molto piacevole e interessante, ma alla fine lo capisco, non so se suonerei una musica simile se il vociare del pubblico superasse il volume dei miei strumenti. I Ronin invece non pagano questo tributo, anzi, la loro musica riesce a coinvolgere il pubblico presente. Del resto loro stessi ammettono “E' bello suonare a critical wine, il problema è che dopo devi suonare davvero”. Il loro concerto funziona perfettamente, come una macchina ben collaudata, tra canzoni vecchie e nuove. Ci si trova così a ballare con la morriconiana “Calavera”, semplicemente bellissima anche nella sua esaltante versione live; si resta deliziati dalla deviazione africana de “L'etiope” e dalla quasi-samba di “Portland”; la loro “Canzone d'amore Moldava” non può non entusiasmare i presenti fino al bellissimo finale con “I pescatori non sono tornati”. Tra momenti energici e altri più riflessivi l'esibizione della band di Bruno Dorella non può che lasciarmi totalmente soddisfatto confermando le mie ottime impressioni sui loro lavori in studio; un concerto splendido a conferma di come i Ronin siano una delle realtà italiane più interessanti e sempre promettenti di nuova splendida musica.
Foto a cura di Anna Positano:
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