Scritta a quattro mani con Daniele Guasco
È un locale strano questo Bar La Muerte, un locale dove sia il proprietario che il personale stupiscono sempre la clientela con bevande che difficilmente troverete sui libri per barman e con piatti gustosi ma totalmente fuori dall’ordinario.
Felice parto della mente di Bruno Dorella, l’etichetta Bar La Muerte ormai da parecchi anni – precisamente dalla fine degli anni ’90 – illumina il panorama musicale indipendente italiano con proposte coraggiose, spesso ostiche per il grande pubblico, ma sempre stupendo e affascinando gli ascoltatori che seguono le vicende di questa felice realtà.
La forza di Bar La Muerte è la capacità di partire dai progetti musicali di Bruno Dorella e degli artisti che gli sono più vicini per arrivare anche a imprevisti riscontri di critica ma anche di pubblico. Mi basta fare un nome: Bugo. Ora in tantissimi conoscono questo folle cantautore ma i suoi esordi sono tutti sotto il marchio dell’etichetta di Dorella, partendo dai primi 7”, passando per ‘La Prima Gratta’ (prodotto in collaborazione con Snowdonia), album d’esordio sorprendente nella sua carica lo-fi e nella capacità di contenere anche fenomenali tormentoni come “Spermatozoi”, fino a quel ‘Sentimento Westernato’ (questa volta in collaborazione con Wallace e Beware) che ancora reputo il suo apice creativo. ‘Sentimento Westernato’ è una raccolta di canzoni che vanno dal folk più strambo e delirante (“Vorrei avere un Dio”) al blues meno convenzionale condito di giochi di parole storici (“Son drogato di lavoro”) senza tralasciare stranianti episodi noise a bassa definizione (“Benzina mia”). Un disco che ha portato sugli allori un musicista sempre più in vista e sempre più di successo, grazie ad una vena artistica sempre fertile che alcuni stanno già provando ad imitare con scarsissimi risultati. Del resto non è semplice copiare la poetica Bughiana, composta da semplici canzoni che a un ascolto distratto potrebbero sembrare demenziali, mentre pur conservando un approccio quasi clownesco vanno spesso a toccare temi magari non universali, ma che di certo influiscono su tutte le nostre giornate. Oppure, semplicemente, è molto bravo a prenderci tutti per il culo.
Compagni di etichetta di Bugo (prima che fuggisse poi verso il successo) e soprattutto una della band principali del gestore di casa (quella ufficiale risponde al nome di Ronin) sono gli OvO. “Ci piacerebbe tenere OvO non dico al di fuori del mercato, cosa infattibile per definizione, ma almeno molto libero all’interno di esso.”
E’ la descrizione all’interno del sito di Bar La Muerte a chiarirci gli intenti primari, prima di tutto dell’etichetta stessa, che da sempre porta avanti una sorta di concezione ultra diy muovendosi all’interno di piccoli circuiti indipendenti e soprattutto portando avanti una sorta di one-man-label dove il musicista è lo stesso che appare nei progetti della sua stessa etichetta (e ci viene il riferimento alla mitica Cramps Records di Milano dove Gianni Sassi era sia il produttore che la mente musicale/spalla di molte delle produzioni). Ma la descrizione ci dà i contorni (perché di contorni si tratta, attenzione) soprattutto della figura degli OvO, ragione sociale che risponde ai nomi di Bruno Dorella e Stefania Pedretti, una figura che negli anni ha assunto e continua ad assumere svariati volti. La storia di OvO è facile: OvO è una questione di amore e di impegno: “perché il messaggio che non diamo nei testi (che non hanno parole reali) lo diamo con il nostro stile di vita, rifiutando lo sfruttamento del mondo del lavoro, suonando tutto l’anno in tutto il mondo sia nel mondo del rock canonico, sia in quello dei festival d’avanguardia, sia in quello degli squats e delle occupazioni, perché il viaggio ha per gli OvO un peso pari alla musica, perché la musica che facciamo ha un coefficente di rottura che ci fa ricordare ogni sera che l’arte ha una valenza politica anche senza avere slogan, e infine perché gli OvO si basano sull’amore tra me e Stefania, e quanti altri gruppi possono dire di basarsi sull’amore?”
Alla fine della fiera ciò che contraddistingue gli OvO è l’instabilità del progetto stesso, matrice a due da cui si sviluppano le varie collaborazioni (Jacopo Andreini, Claudio Parodi, Eleonora Parodi, Hermit e Capoccia) trasformando di volta in volta (e soprattutto di concerto in concerto) il genere in cui il gruppo cerca di muoversi: grind-jazz. Improvvisazione radicale, free form, jazzcore, crust, punk, no wave: quella degli OvO sembra sempre più essere la più convincente forma di free noise ascoltata negli ultimi anni senza andare a cercare necessariamente tra i reduci (in tutti i sensi, decisamente) del suono americano che di questi tempi sembra vadano così di moda. Rimane da citare inoltre la statura teatrale che il gruppo subisce (certamente influisce in tal senso la presenza di Stefania Pedretti al progetto Allun), contribuendo a livello visuale a quell’iconografia della sfuggevolezza che essi stessi cercano ad ogni costo di portare avanti, cristallizzata nell’ultimo lavoro in studio, ‘Miastenia’ per l’americana Load.
Rimanendo a parlare di Stefania Pedretti, a parte il suo recente e interessantissimo progetto solista ?Alos, non si possono non ricordare le Allun (che con Bar La Muerte condividono la storia e la nascita: Dorella nel 1999 si occupa della produzione del 7” della band sotto la ragione sociale di Tijuana) prima quartetto all female formato da Stefania Pedrelli, Patrizia Oliva, Wanda, Katia, poi duo – Stefania Pedretti e Natalia Saurin con la collaborazione di Silvia Grosso – di performance musicale dedito all’improvvisazione oggettistica. Di fatto, l’estetica delle Allun è quella dell’azione teatrale, testimoniata dalll’invenzione di costumi di scena finiti a far parte di anti-sfilate di moda in cui il portatore diventa l’abito stesso in un gioco (di specchi) che legittima sia le liriche – titoli al contrario – che l’uso di oggetti come aspirapolvere, macchine da scrivere, frullatori, giocattoli per fare musica: la particolarità che distingue le Allun è la varietà di linguaggi presenti nel progetto e la presenza del suono. Non la campionatura o il sample dell’oggetto ricontestualizzato ma l’oggetto stesso in interazione con l’opera. Proprio per questo ogni lavoro musicale del duo puo’ essere definitivo completamente come atto performativo: per la reale presenza dell’oggetto che si mette in scena e partecipa essa stesso alla rappresentazione svolta all’interno del disco. Ma se quella delle Allun è performance, lavoro teatrale, rimane da chiedersi cosa esattamente rappresenti: significativo è quindi un lavoro come quello svolto sul booklet del disco ‘Onitsed’ (Bar La Muerte, 2005), ovvero una sorta di documentario fotografico che testimonia le varie fasi della poetica pop-art delle Allun suddivise in sfilate di moda – concerti performance – presentazioni di elettrodomestici/cucina – figure aliene e addirittura un filmato. La messa in scena finale è quella della ricerca, della riscoperta prima di tutto di suoni e situazioni e in secondo luogo di oggetti corpi e re-visioni: non a caso molte delle canzoni sono sotto forma di filastrocche per bambini, non a caso il progetto Allun nasce sotto la forma della spontaneità più innocente (nessuna delle partecipanti è suonatrice/compositrice), non a caso l’importanza alla femminilità è una componente essenziale del progetto e ancora non a caso vengono scelti costumi da alieni per rappresentare un punto di vista non solo nuovo, ma modellabile a proprio piacimento – l’estraneo come modello di libertà – nel processo stesso della ricerca. La messa in scena diventa ricontestualizzazione, demistificazione, poetica delle cose e dei corpi, pop art in movimento.
Nel catalogo Bar La Muerte si trovano però tante altre proposte sempre coraggiose e ben variegate, come l’EP d’esordio dei Ronin (altro gruppo di Dorella) che personalmente è il disco che preferisco tra quelli con questo marchio, una riscoperta del folk dai suoni western affascinante ed esaltante. Ma anche la spiazzante elettronica cantautorale di Daniele Brusaschetto merita tutta l’attenzione possibile, così come la sorpresa posthardcore Inferno, i primi esperimenti jazzcore con Jacopo Andreini (batteria di Enfance Rouge) ai fiati dei Pin Pin Sugar (e ‘Latex Duellos è una pietra angolare della piccola scena jazzcore italiana), l’avant pop di R.U.N.I. o la fenomenale musica da camera di Christian Rainer.
Un vero e proprio faro per chi pensa che la musica italiana abbia ancora molto da dire, una miniera di materiale dall’altissimo valore artistico, materiale che magari richiede un po’ di tempo per essere compreso pienamente – sempre se ci si riesce -, un bar che mi vede spesso e volentieri tra i suoi clienti e che non ho la benché minima intenzione di abbandonare.
BREVE INTERVISTA A BRUNO DORELLA
Ho raggiunto via mail il patron di Bar La Muerte per una breve intervista così da fare luce meglio sulla proposta dell’etichetta:
Rocklab: Ormai sono un bel po’ di anni che Bar la muerte propone la sua interessante sfida musicale, partendo come one-man label ha dato poi vita a parecchi progetti di successo. Quali sono i traguardi raggiunti di cui sei più soddisfatto?
B. Dorella: Pubblicare un gruppo come le Allun, che nel loro essere non musiciste mostrano una via diversa ma del tutto coerente e percorribile per dimostrare la propria creatività.
Essere stato il primo ad aver promosso Bugo.
Aver pubblicato tanti amici e gruppi validi ed aver fatto partire i miei. Ogni disco è stato un piccolo successo.
La proposta Bar La Muerte è sicuramente molto coraggiosa per il mercato italiano, diciamo che in casa nostra è difficile fare attecchire certe sonorità. Cosa manca secondo te nella nostra cultura per far sì che certa musica italiana che all’estero viene parecchio considerata riceva anche qua l’attenzione che gli spetta?
Qui si storce il naso verso qualunque cosa non sia “melodia” o “tecnica”. Può succedere anche all’estero, certo, ma in molte nazioni c’è una serie di luoghi, istituzioni o locali dove certe sonorità hanno casa. Noi abbiamo un innato culto per la melodia che da una parte ci rende grandi compositori,dall’altro ci preclude la gioiosa fruizione della sperimentazione. Anche il culto della tecnica è un germe diffuso. Spesso l’italiano alza un muro di rifiuto per nascondare la sua arrogante incomprensione.
Bar La Muerte nei suoi iniziali periodi si è sempre mossa all’interno della rete alternativa e delle realtà punk: oggi, se qualcosa è cambiato, come è cambiato?
Noi siamo gli stessi, proprio ieri coi Ronin abbiamo suonato gratis come benefit in uno squat. Ma il mondo del punk e delle occupazioni è molto cambiato negli ultimi anni. Ad esempio molti posti “punk” non fanno suonare i nostri gruppi perchè non fanno musica “punk”. E quindi noi siamo costretti a dirottarci sui locali. Però poi gli stessi posti ci boicottano perchè suoniamo nei locali e allora siamo “venduti”. A me la realtà del punk e delle occupazioni continua ad interessare, ma come tutti i microcosmi è una realtà molto composita che va conosciuta a fondo per capirla. Comunque direi che restiamo una realtà molto punk e alternativa, ma quello che è cambiato oggi è che l’offerta di musica (gruppi, etichette, organizzatori, distro) è aumentata a tal punto che non c’è più spazio per tutto, e questo porta all’iperspecializzazione, per cui nei posti punk si fa solo strettamente punk, nei posti d’avanguardia si fa solo l’avanguardia ecc ecc. Tempi duri per i trasversali come noi…
Qual è il disco “altrui” che ti piacerebbe di più vedere in giro con il marchio Bar La Muerte?
Questo è impossibile da dirsi. The Singer di Diamanda Galas? Souls At Zero dei Neurosis? Pura fantascienza. Ti dico chi pubblicherei adesso se avessi i soldi: in Italia Zurich Against Zurich e Eterea. In Germania (dove vivo ora) Monno e Don Vito. In America Lovely Little Girls.
Qual è (se c’è) il filo conduttore che lega le uscite del tuo catalogo? Come dire, fa un certo effetto trovare Bugo e RUNI da una parte e Inferno e Ovo dall’altra..
Il filo conduttore è cercare di sorprendere prima di tutto me stesso. “Cosa vorrei adesso in Bar La Muerte? Cosa mi darebbe la scossa?”. E poi c’è l’amicizia. I gruppi che pubblico fanno grandi dischi, ma sono prima di tutto amici, anche tra loro. L’eclettismo, la trasversalità. Non potrei vivere senza. Il filo conduttore è la musica e basta. Se riesci a pensare questo, non è più strano vedere Inferno e Bugo insieme. Roberto, il cantante dei RUNI, è stato il fonico di Bugo, dei Ronin, ha registrato dischi delle Allun e di ?Alos, ha suonato la tastiera nei Ronin. Lo stesso Bugo ha registrato dischi di Allun e Motorama, ha suonato il basso coi Ronin, fatto concerti con Allun, OvO e tutti gli altri gruppi Bar La Muerte, ha fatto persino una split in cassetta con Ventolin Orchestra. Il nostro è un mondo bizzarro e composito che richiede solo una mente un po’ aperta da parte dell’ascoltatore. Noi siamo in pieno fermento vitale, siamo qui, non ci fermiamo.
Il catalogo Bar La Muerte presenta proposte molto variegate. Con quale criterio scegli i gruppi che secondo te meritano attenzione?
Voglio prima di tutto stupire me stesso. Voglio pubblicare roba che io stesso non mi aspetterei di pubblicare, roba di cui mi innamoro e che non c’entra nulla con quello che ho fatto prima. In realtà poi le ristrettezze economiche mi portano a fare delle scelte, ad escludere molte delle cose che vorrei pubblicare, e alla fine pubblico i dischi anche in base all’amicizia, nel senso che se devo scegliere tra un disco che mi piace di una persona che vive vicino a me e con cui collaboro e a cui voglio bene, ed un qualsiasi altro disco, scelgo probabilmente il primo. Stupire me stesso comunque è la prima regola.
Nel catalogo è riscontrabile un certo interesse alla performance (Allun, OvO) o comunque a atmosfere che rimandono immaginari visivi (Bron y Aur, Ronin).. pensi che prima o poi sia possibile lavorare su questo fronte a livello di produzioni, magari sperimentando linguaggi nuovi di quelli di un’etichetta musicale?
Mi piacerebbe molto, anche se per ora mi mancano i fondi per poterlo fare. Si potrebbe lavorare su supporti multimediali come hanno fatto le Allun: il loro ultimo album Onitsed è un libro fotografico, che documenta anche in maniera molto “grafica” le loro performance. All’interno c’è un cd musicale che è il vero e proprio album, e nell’album c’è un videoclip che è ai confini con la videoart. Questo era un primo passo verso una potenziale multimedialità, ci è costato anche un grosso sforzo economico oltre che lavorativo. Ma la quasi totale indifferenza con cui l’operazione è stata accolta ci ha un po’ scoraggiato ad andare avanti.
Per finire questa breve intervista, cosa dobbiamo aspettarci da Bar La Muerte in futuro?
Aspettarvi l’inaspettabile, immagino…