Maher Shalal Hash Baz – L'Autre Cap

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Decine e decine di strumenti accatastati senza preciso ordine logico che tentano di tirare su un qualche tipo di melodia è la prima immagine che viene in mente ascoltando l’ultimo lavoro del collettivo di Tori Kudo. Almeno finché non entra quella vocetta giapponese di uno che imparato l’inglese una settimana fa a dirti che la canzone che stai ascoltando ha una grande melodia (no, non sto scherzando), scomparendo in una successiva bolgia di arrangiamenti proto-latini e deliranti ascessi di fiati scoordinati. Effettivamente oggi la ricerca musicale nel collettivo Maher Shalal Hash Baz passa attraverso le ipotesi dell’idiot-pop più puro e nasconde immensi gioielli: prima di tutto la produzione nonché la presenza in veste di musicista di Arringhton De Dionyso che regala al tutto un’aria greve e scoordinata; la perizia d’arrangiamento di una big band ubriaca travestita da becero gruppo pop da due minuti e via che passa agilmente da melodie sbilenche degne dei Modest Mouse (Suspend Season è la canzone che non riusciranno mai a scrivere, neanche tra due vite) a derive bandistiche, chitarre atonali a schegge (Seamless Garment), fino a fughe di trombone, sax e fiati assortiti degne di Steve Lacy. ‘L’Autre Cap’ viaggia all’insegna della libertà più pura, di una musica che fagocita Occidente e free jazz per cagare Oriente e pop, che si trascende continuamente diluendosi, scoppiando, facendo beffe di se stessa nascondendosi nell’imperfezione (più volte sentirete le chitarre in false partenze a ripetere accordi o note “sbagliate”) e nell’errore – che mantiene e amplifica l’emotività del lavoro (a cavallo del millennio il glitch e il lo-fi qualcosa ci hanno insegnato): il tutto senza mai spostarsi dal registro freakkettone & assurdo del disco. O è un miracolo oppure questi qui sono dei geni.