Acquista: | Data di Uscita: | Etichetta: | Sito: | Voto: |
Se gli americani si trovassero a liofilizzare (anche) la propria musica delle radici per incapsularla in delle pillole da astronauti , il risultato non sarebbe troppo distante da questo futuropassatistico terzo lp dei Soulsavers. Trip hoppers e remixers a tempo perso, quello degli inglesi è in realtà un duo di abili miniaturisti elettronici, artigiani di piccole colonne sonore per paesaggi, stati d’animo, situazioni, a volte persone. E indovinate un po’ chi è la primadonna che sta in mezzo a questo progetto?… Strano a dirsi per uno che non ride manco col solletico, ma da quando è tornato sulla piazza Mark Lanegan se la sta proprio spassando! Dal territorio indie-rock che gli è più vicino (dal vivo e su disco con Greg Dulli, Pj Harvey , Q.O.T.S.A. e Afterhours) le sue collaborazioni si sono moltiplicate e ramificate fino alla deriva intimistica inglese. E dopo il cheek to cheek con Ms Campbell dei Belle and Sebastian, eccolo indossare questa inaspettata veste elettronica. Per tutto il disco Rich Machin e Ian Glover coccolano il loro richiestissimo ospite come si deve: gli affiancano comprimari di tutto rispetto (Will Oldham, PW Long e Jimi Goodwin dei Doves), gli fanno cantare i pezzi che gli garbano di più (la scelta delle cover spazia dagli Stones a Neil young, fino al tradizionale “Spiritual” americano) chiedono addirittura i bis delle sue stesse composizioni (“Kingdom of Rain”, riarrangiata da “Whiskey For the Holy Ghost”), delineano attorno alla sua sagoma da cowboy un immaginario che stilizza le lande deserte dell’America del sud. Il tessuto sonoro di questi undici brani riecheggia atmosfere western e cori Gospel, cita vecchi blues e omaggia i romanzi di John fante: come gli oggetti nel cassetto raffigurati in copertina, tanti piccoli pezzetti dell’America (non solo) musicale se ne stanno sparsi in lungo e in largo, quasi a rappresentare la frammentarietà e le contraddizioni che da sempre esistono nel Nuovo Mondo. Oltre al suo valore simbolico, anche da un punto di vista squisitamente musicale il progetto è interessante e –se non state a fare troppo i puristi del roots- pure divertente. ‘It’s not how far you fall…’ è necessariamente un lavoro laneganocentrico, talvolta anche oppresso dalla sua presenza, ma che ha un disperato bisogno della sua voce e della sua espressività per riuscire a fare dei suoi pezzi undici piccoli gioielli del lirismo notturno.