Genova è una città particolare, strana, amara ma allo stesso tempo avvolgente; per quanto tu la conosca ti sembra sempre un’estranea che anche se con un sorriso si limita a sopportarti. Il panorama musicale cittadino non poteva essere certo tanto distante dalle caratteristiche della città, da quei labirinti di vicoli, dal contrasto immediato tra mare e collina, familiare ma mai uguale. Quello che bisogna certamente riconoscere ai giovani musicisti cittadini è un fermento creativo affascinante e in continuo cambiamento, che ha visto negli ultimi anni un continuo avvicendarsi di persone, di esperienze, di progetti, e la conseguente nascita di una (ancora immatura) comunità genovese legata al mondo delle sette note. Se le idee sono tante in città, poche sono le possibilità di farle sentire con la forza che meriterebbero: in pochissimi infatti sono pronti a dedicarsi realmente a questa realtà con tutte le loro forze, ancora meno sono disposti a investirci sia tempo che denaro. Lo stesso pubblico genovese è ancora troppo chiuso e diffidente, anche se si sta avviando verso una presa di coscienza di questa enorme ricchezza nascosta. A parte pochi altri casi (la Green Fog Records dei Meganoidi, l’associazione Metrodora, l’attività di alcuni locali cittadini,…) un nome a cui la musica genovese degli ultimi sette anni deve tantissimo è sicuramente quello della Marsiglia Records, etichetta discografica che attraverso i suoi cdr -semplici cd masterizzati con confezioni essenziali quanto belle- può essere considerata come una continua testimonianza del fermento musicale cittadino. Certo, la Marsiglia non ha prodotto solo materiale di gruppi genovesi, ma il suo legame con la città resta fortissimo, a partire dal suo fondatore Matteo Casari, mente anche delle serate di concerti Disorderdrama.
L’esordio dell’etichetta è affidato proprio ad un suo gruppo, i Cary Quant, band smarritasi per strada ma che era capace di deliziare gli ascoltatori con un indie-rock strumentale ben composto, piacevole e preciso nelle scelte melodiche. Le loro erano passeggiate veloci e imprevedibili, note che attiravano l’attenzione senza fare male, lasciando un gusto dolce e piacevole. Il loro episodio nella storia della Marsiglia è importante quanto veloce, un breve EP che si ascolta sempre con piacere. Sempre legati all’attività come musicista di Matteo i ben più noti (e anche loro ormai ricordo) Lo-fi Sucks!, vera e propria gloria cittadina. Per la sua etichetta sono uscite due piccole perle del quartetto genovese, la prima, il ‘Pink moon EP’ è un omaggio sentito e raffinato a Nick Drake, nel quale attraverso il loro indie rock particolarissimo le canzoni dell’artista vengono rilegge prendendo una nuova luce abbagliante ma rispettosa del ricordo; la seconda, ‘Threetracksthreeinchesep’, altra felice testimonianza dell’attività di questa ancora oggi interessante band.
Non solo i Lo-fi Sucks! han trovato estimatori al di là dei confini cittadini: attraverso la Marsiglia sono infatti passati alcuni dei gruppi più interessanti della città, capaci di riscuotere un buon riscontro non solo in Italia, ma anche all’estero. È il caso dei sempre vitali Port-Royal, oggi pubblicati dall’ottima inglese Resonant e prestissimo di ritorno con un nuovo album, che videro il loro esordio con il sempre bellissimo ‘Kraken EP’, quattro tracce per venti minuti di suoni avvolgenti, canzoni dalle melodie impeccabili e una prima dimostrazione del talento di questo gruppo che, seppur si tratti di un progetto musicale in continua evoluzione, in già presenteva quelle capacità di creare canzoni bellissime, leggere, ipnotica e sognanti. Molto diversi sono sul versante più pop gli En Roco, anche loro esordienti su Marsiglia e capaci di raccogliere un buon riscontro con le loro romaniche ballate acustiche. Un altro talento tutto genovese che ha mosso i primi vagiti della sua purtroppo breve attività in questi lidi è rappresentato dai bravissimo K.C.Milian, autori del breve ma intensissimo ‘Season Repeat’, EP che fa da splendido esempio alle capacità di questa rimpianta band, autrice di un post-rock strumentale pronto a sfociare nelle nevrosi, soprattutto nel loro successivo (e ultimo) lavoro uscito nel 2004 su Holidays records. Altri concittadini che hanno trovato spazio tra le pagine della storia della Marsiglia Records e che meritano almeno una menzione sono Tito con le sue preziose ballate strumentali tutte chitarra acustica, l’indie-pop raffinato e ipnotico degli Anais, senza dimenticare le sperimentazioni improvvisate dei Chuck Norris Zen Solution Quartet, capaci di effettuare una interessante deflagrazione dei generi per poi costruire uno stile totalmente personale. Non solo Genova però, pur riconoscendo il suo ruolo da protagonista, ha posto nelle pieghe delle vicende della Marsiglia. Trovano infatti il loro spazio anche il gradevole post-rock dei modenesi Marla, o il convincente rock lo-fi dei lucchesi Uber.
Dopo più di due anni di pausa (se non si conta la partecipazione alla compilation ‘Milk In My Cup’), dall’autunno scorso Matteo ha deciso di rimettere in moto gli ingranaggi dell’etichetta, pubblicando nel giro di pochi mesi quattro nuovi lavori, partendo dall’elettronica sgangherata e casalinga di Rocktone Rebel, passando per quella più riflessiva e amniotica dei Japanese Gum, fino al post-rock dei sempre più maturi Hermitage. Notevole anche la prima proposta straniera della Marsiglia,gli sloveni Coma Stereo, autori di un EP composto da un’unica lunghissima suite strumentale. Non ci rimane, dopo aver ripercorso le tappe di questa storia, che aspettare le nuove uscite (una delle quali, già annunciata, vedrà come protagonista il raffinato cantautorato di Fabio Zuffanti), continuando a conoscere attraverso questa proposta le voci più interessanti che escono dai vicoli genovesi, senza dimenticare le scorribande della Marsiglia oltre i confini cittadini.
A questo proposito, ma anche per ripercorrere un po’ la filosofia che sta alla base della proposta Marsiglia Records ho fatto quattro chiacchiere con il suo fondatore Matteo:
Partendo da un po’ di storia della Marsiglia Records: come nasce l’etichetta? Quali erano le mete che ti ponevi agli albori del progetto e quali sono state raggiunte?
Matteo Casari: La prima uscita è del 2000. L’idea lievemente precedente. E’ la continuazione ideale del lavoro fatto con la fanzine *Marstyle*, a cui °Marsiglia° deve anche a livello grafico e di nome, “*Marstyle* con-siglia Con Style °Mar-siglia°”. Sembrava un qualcosa di necessario in quel periodo. Non c’erano etichette in città, Loretta era in stallo (poco prima della sua rinascita con le quattro uscite in contemporanea) e ritenevo concreto il rischio di perdere traccia di molti degli ottimi gruppi delle persone che mi stavano intorno. Soldi zero. Per cui dopo qualche esperimento di grafiche a bassissimo costo, ho optato per quella della fotocopia su lucido e cdr senza scritte. E me la porto dietro con piacere ancora oggi. Salvaguardare e dare un po’ di visibilità a chi mi sta intorno e piace è ancora oggi uno dei punti fissi di Marsiglia.
Restando sull’evoluzione della Marsiglia, sei tornato a pubblicare dischi dopo quasi tre anni di pausa: cosa è cambiato rispetto agli inizi in questo ritorno?
L’attenzione verso le cd-r label è diversa. Blow Up addirittura ormai le considera totalmente al pari di chi stampa vinili e cd. E’ cambiata la rete, da cui il dovere di mettere in download libero la musica diventando anche net-label, per dare la massima visibilità possibile alle uscite. Che è e rimane il punto fermo dell’ipotesi trampolino Marsiglia. Io ci metto la struttura e il calcio in culo. Poi sta ai singoli gruppi “desbelinarsi”, come si dice a Genova, a fare i passi successivi.
Il catalogo dell’etichetta si mostra molto versatile dal punto di vista delle proposte musicale: come scegli i gruppi che ne sono entrati o entreranno a farne parte? C’è un filo comune che lega tutte queste proposte?
Credo che l’unico filo comune sia quello dell’amicizia che nasce tra me e i gruppi. A livello di genere credo sia quanto di più ottuso al mondo fare delle etichette monogenere e mònotone. Guarda Wallace in Italia, e KRS o K in America. Come tutti i cretini che tirano su un’etichetta vado a senso, a gusto del momento, a sentimento; sicuramente non vado con l’ottica del dover vendere. Tolte le amicizie locali, Marla, In My Room, Mr.60, Uber, sono tutti gruppi i cui demo mi sono arrivati e mi hanno scioccato. Era quello che volevo sentire, come lo volevo sentire, quando lo volevo sentire. Cosa si poteva chiedere di più? Forse si possono percepire a posteriori dei filoni: Port-Royal – In My Room – Japanese Gum; Felipe – En Roco – Tito – LFS – Rocktone Rebel – Fabio Zuffanti; Cary Quant – K.C.Milian – Uber – Hermitage – Coma Stereo. Ma diciamo che in fase di pre-selezione me ne frego abbastanza.
La Marsiglia non ricorre a distribuzioni ufficiali, si avvale piuttosto del passaparola e dei sempre più presenti banchetti ai concerti. Allo stesso tempo spesso e volentieri i dischi pubblicati dall’etichetta sono scaricabili gratuitamente dal sito attraverso la licenza Creative Commons. Quali sono i vantaggi e i retroscena di questa scelta?
Quello cui già accennavo prima. La necessità di creare il passaparola sui gruppi, sull’immetterli in canali necessari ad uscire dalla città. E mi sembra che stia decisamente funzionando! Incrociamo le dita. La funzione principale di Marsiglia, di solito, è pescare autori o gruppi che hanno prodotto, o stanno producendo qualcosa che è sicuramente più valido di un demo, ma, ancora, senza quel paracadute di contatti e capacità che permetterebbe al loro disco di uscire sul mercato aperto senza cascare nel nulla. Attraverso Marsiglia fanno un passo ulteriore, si agganciano alla rete. Da lì in poi sta, in gran parte, a loro muoversi.
Passando a caratteristiche più geografiche, è impossibile parlare della Marsiglia senza rilevare il ruolo da protagonista che ricopre nella sua storia Genova. Un anno fa, parlando della tua organizzazione di concerti cittadini, Disorderdrama, mi dicevi: “Il problema? La comunità. Ma lo esplicito meglio dopo. La scena cittadina vive. Non vegeta più. […] Di cosa avete ancora bisogno per rendervi conto di quanto buono c’è qui? E non parlo a chi ne sta al di fuori. Parlo a chi sta a Genova. Smesciatevi!”. Qualcosa è cambiato secondo te in questi dodici mesi? Hai notato qualche minimo miglioramento o assistiamo a una apatica staticità?
La coscienza è nata e sta crescendo. Ci sono tanti nuovi buoni gruppi. Uno dei progetti in cantiere è proprio pubblicare uno o due volumi di gruppi genovesi di qualità. A due anni da ‘Milk In My Cup’. Questi gruppi, che hanno suonato tutti alle serate dDRAMA in Buridda, sentono un qualche legame gli uni agli altri. E direi che se non è coscienza di comunità questa… Ci manca ancora uno spazio extra concerto dove ritrovarci. Ma ogni cosa ha il suo tempo, inutile affrettarsi. Ora vediamo di tirare su una piccola pubblicazione cartacea, una fanza, dove provare a definirci.
La Marsiglia non si è fermata certo a Genova però, dando alle stampe anche alcuni dischi di interessanti proposte italiane e arrivando fino agli sloveni Coma Stereo. Continueranno queste incursioni fuori porta? Come vedi brevemente il panorama indipendente italiano?
Myspace offre uno spazio decisamente indicativo della quantità aberrante di progetti in piedi in giro per l’Italia, e non solo. In una maniera piuttosto democratica, tutti allo stesso livello, legata più alla voglia di fare e al nerdismo dei musicisti che non alla bravura dei rispettivi uffici stampa. Proprio questi ultimi paiono essere la croce e delizia italica. C’è da capire, spesso a fatica, fin dove siano bravi i gruppi e da dove siano delle sòle enormi. C’è chi, in giro ha una totale idiosincrasia per le produzioni italiane, tacciate sempre di derivatività eccessiva. A prenderla più tranquilla si trova molto materiale di qualità. Recentemente mi sono piaciuti molto Beatrice Antolini e Dejligt, qualità e respiro per il pop obliquo italiano. Se si guarda il calendario di quest’anno di dDRAMA e si nota che abbiamo fatto più gruppo italiani che stranieri, e non per ragioni monetarie. E’ difficile comprendere, se non vedendoli dal vivo, la reale qualità dei gruppi: le riviste, poco e mal lette creano mostri, tanto quanto internet. Il problema non è nella qualità critica dei giornalisti quanto, come al solito, negli ascoltatori. Mi domando quanti realmente comprino dischi e supportino ai concerti i gruppi reputati validi. Così, con vendite minime, non se ne esce. Molte etichette cercano solo di piazzare le copie a distributori e negozi; poche costruiscono realmente qualcosa che abbia un seguito. Molti gruppi cercano solo il gancio giusto per arrivare su MTV e piazzare i propri concerti a oltre 500e. Tutto questo, per me, non ha senso. Se, come e quando, troverò altri progetti interessanti al di fuori della scena genovese, sarò ben felice di pubblicarli.
Per finire, a parte il già annunciato cd di Fabio Zuffanti, puoi anticiparci qualcosa sui prossimi passi della Marsiglia? Hai qualche idea di proposta che vada oltre alle uscite su cd?
La ventiduesima uscita sarà probabilmente un EP degli St.Ride, attualmente uno dei progetti più eccitanti, permettemi questa esclamazione di adolescenziale ingenuità, in città. Poi c’è da registrare il debutto dei Rice On The Record, sono anni che volevamo fare una roba insieme con Paolo-Ashtray e questa sua collaborazione con Germana ex- CaryQuant è una specie di quadratura del cerchio. Per rimanere in città le tre cose che mi piacciono di più sono Pomponio Eisenhower, i Dresda e I Bosio / Asturia… Vedremo come evolve la questione. Mi piacerebbe fare il singles club ad un certo punto, ma per ora è un sogno. E la serie di dischetti da 3e1/2 con dentro un solo mp3 da 1.4M di roba inascoltabile. Nel più largo ci sarà una pubblicazione, già pronta e in stampa, a nome “Le Immagini Del Disordine”: una selezione di foto che coprono i tre anni di concerti organizzati alla Madeleine Cafè. E le già citate compilation genovesi del Laboratorio Sociale Occupato Autogestito Buridda. Direi che, parallelamente alle cose fatte con DisorderDrama, ce ne sia abbastanza per i prossimi mesi, no?