Nella musica di Apparat

  • Un ottimo disco (‘Walls’) in uscita a maggio, una lunga serie di date che toccheranno anche l’Italia e tutta la classe per cui è già noto. Apparat può essere tranquillamente considerato come uno dei migliori artisti elettronici europei al momento, sia quando vuol far ballare che quando si limita a comporre ottime canzoni.
    Una bella chiacchierata (e ringrazio per l’aiuto in fase di traduzione di Paolo Viscardi) penso sia il modo migliore per far conoscere o andare ad esaminare più da vicino il suo lavoro:

    Rocklab: Partiamo dal disco nuovo. Ho trovato entusiasmanti certe scelte di suono. Com’è stata la sua gestazione? Quali sono le tue aspettative per ‘Walls’?

  • Apparat: Non si tratta realmente di un disco concettuale, è più una collezione di miei lavori degli ultimi tre anni, con parecchie influenze diverse e evoluzioni di idee.. per questo è abbastanza eclettico. Non so se ho delle vere e proprie aspettative. Cioè, più che altro sto cercando di crescere e sviluppare la mia musica, cambiare è un fattore importante per me. Non riuscirei mai a comporre lo stesso disco due volte, semplicemente non è necessario.
    Io sono felice se la gente è felice di ascoltare la mia musica, è ancora un’idea nuova per me sapere che a qualcuno interessa quello che faccio!
  • R.: Restando su ‘Walls’, l’ho trovato anche meno vincolato alla tua musica precedente, più vicino ad essere una rappresentazione della vita di tutti i giorni..
  • A.: Io penso che la mia musica precedente sia abbastanza lontana nel tempo da permettere molti cambiamenti e sviluppi nel frattempo. ‘Walls’ è stato composto in un lungo periodo, comprende le idee degli ultimi tre anni e sicuramente molte di queste sono collegate alle cose che mi sono accadute, il legame è sicuramente maggiore nei brani cantati, ma è presente anche negli altri.
    A me poi piace particolarmente ricordare le storie delle canzoni, per esempio “Handup” è il risultato migliore del mio “tentativo di band”, stavo lavorando con alcuni ragazzi a un progetto in gruppo che non ha mai visto la luce, ma “Headup”, che si chiamava “When” a quel tempo era veramente un buon brano. Ho provato a metterci sopra la mia voce, ma ero troppo legato al ricordo di come veniva eseguita dal vecchio cantante, così ho chiesto a Raz Ohara, avevo bisogno di qualcuno che non avesse mai sentito la canzone prima, e ha fatto un grandissimo lavoro. Sono veramente contento che la canzone abbia finalmente trovato una sua forma!
  • R.: L’estate scorsa ti ho sentito suonare dal vivo con Ellen Allien a Genova. Fù veramente un ottima esibizione. Quello che mi incuriosisce sempre al riguardo è se te affronti le tue esibizioni a seconda del luogo nel quale si svolgono.
  • R.: Fu davvero divertente. Non c’era tantissima gente ma penso che riuscimmo a convincerli! Io vivo realmente in un posto industriale come quello dove suonammo a Genova, ma devo ammettere che quando suono il posto non fa realmente la differenza, non mi curo realmente di quello che mi sta intorno. Ok, si suona diversamente in un piccolo club rispetto a un festival, ma penso sia maggiormente collegato alle aspettative del pubblico che alla location.
  • R.: Stai per tornare in Italia a inizio estate. Cosa apprezzi e cosa invece odi dell’Italia?
  • A.: Haha la cosa che odio… io provo a non odiare nulla ma se c’è una cosa veramente pessima in Italia è il traffico di Milano. Accidenti, c’è sempre una nuvola grigia sopra la città, deve essere veramente poco salutare!
    Ci sono un sacco di cose positive che penso dell’Italia, il pubblico è sempre mentalmente aperto ed entusiasta, oltretutto la musica mi sembra che sia un po’ più parte della cultura che in Germania.
  • R.: Restando sull’argomento hai collaborato di recente con i Giardini di Mirò. Come è nato questo sodalizio? Continuerà? Lavorerai con altri musicisti italiani?
  • R.: Il mio amico Christophe che li pubblica in Germania mi ha fatto sentire la loro musica e mi è piaciuta tantissimo. Quando hanno suonato a Berlino ho parlato con Jukka (nda. Reverberi, chitarrista dei Giardini di Mirò) e ho scoperto che abbiamo lo stesso modo di vedere la musica. È sempre splendido quando trovi musicisti che apprezzi che apprezzano a loro volta quello che fai.
    Abbiamo iniziato a scambiarci idee e li ho aiutati un po’ con il loro ultimo disco.
  • R.: Andando invece al tuo paese, la Germania, è sempre stata fucina di talenti in ambito elettronico. Come vedi il passato, il presente e il futuro della musica elettronica tedesca?
  • R.: Hmm. Non mi sono mai sentito “tedesco” con quello che faccio, e infatti suono raramente in Germania. Sembra che ci sia troppa techno da queste parti, ma ci sono anche tante ottime cose.
    Mi piacciono Studio1 e Mike inc. e tutti i vecchi dischi della Kompact Records. Anche se devo ammettere che non ascolto molta musica elettronica ultimamente.