Andare avanti per guardarsi dentro: Robin Proper-Sheppard si racconta.

  • Down to earth è forse l’aggettivo con cui meglio potrei descrivere Robin Proper-Sheppard. Una persona trasparente e onesta, che non ha paura di mostrare le sue debolezze e la sua semplicità. L’onestà di chi ha sofferto a lungo e che elaborando questa sofferenza ha tratto la sua maggiore vittoria: non nascondersi e fare di questa genuinità il proprio punto di forza. Una persona intensa, intensa e vera come lo show che i suoi Sophia ci hanno regalato lo scorso 18 aprile al Circolo degli Artisti di Roma.

    Rocklab: Come è nato “Technology wont save us”? Qual è il messaggio del disco e del titolo?

  • Robin: La nascita di questo disco è stata strana. E’ come se l’album si fosse sviluppato dal punto in cui ho sentito il bisogno di fermarmi perché non ero soddisfatto né della musica che scrivevo né in generale, di me stesso. Ci sono volute due riprese per completarne la stesura e il prodotto finale era drasticamente diverso dagli esperimenti portati avanti fino a quel momento. Era quasi come se avessi scritto due dischi diversi. In definitiva è stato un processo molto lungo e difficile, per questo sono passati circa tre anni dalla pubblicazione di People are like seasons.
    Per quanto riguarda il titolo, onestamente più che un vero e proprio messaggio ci leggo quasi una sorta di fotografia del mondo contemporaneo. Mi spiego meglio. Facciamo troppo affidamento sulla tecnologia, perché riteniamo che la complessità possa paradossalmente semplificare la nostra vita, aiutandoci in tutti i modi possibili a rendere le cose più veloci e facili. D’altra parte questo impoverisce notevolmente la nostra spiritualità e la nostra interiorità. Penso che il mondo stia perdendo contatto con se stesso perché siamo troppo focalizzati su ciò che ci circonda senza considerarne gli effetti. E tutto questo è frustrante. Per questo la tecnologia non ci salverà.
  • R.: Questo vuol dire quindi che per quanto ti riguarda cerchi di vivere in maniera semplice o per quanto possibile di rifiutare la tecnologia?
  • Robin: Mi piacerebbe, ma in realtà non lo faccio. Vorrei introdurre dei cambiamenti nella mia vita ma non è così semplice e netto come si potrebbe pensare. Per vivere in modo più semplice, o quantomeno più distante dalla tecnologia, non intendo isolarmi né riscoprire il contatto con la natura oppure lasciarmi convincere da quelle idiozie new age che servono soltanto per vendere ideologie alle masse. Quando accenno alla semplicità parlo di una semplicità interiore… La mia vita ( a livello mentale e pratico) è stata complicata per tantissimo tempo, come se ogni giorno si riempisse di nuovi ingorghi. Non so spiegarmi meglio, ma per farti capire, c’è stato così tanto dolore in quest’ultimo periodo e tanto di questo dolore è derivato dal non sapere vivere in maniera tranquilla e rilassata. Questa tranquillità è ciò che vorrei raggiungere. Sarebbe un traguardo importantissimo.
  • R.: Che differenze ci sono tra questo disco e “People Are Like Seasons”? In P.A.L.S. c’erano alcuni episodi elettronici che in questo disco mancano. Cosa ci dici a riguardo?
  • Robin: Sicuramente questo è un album più rock. La differenza più marcata con PALS è il processo compositivo che ha reso tecnicamente diverso questo disco dal suo predecessore. Tecnology won’t save us infatti è stato registrato insieme a Jeff, il mio batterista, nell’ambito di due sessioni di lavoro e questo ha conferito al disco una dinamica differente, più rock appunto. Dal punto di vista testuale invece, il mio modo di scrivere è cambiato in maniera netta. Forse sono riuscito ad aprirmi di più e a rivolgermi al mondo esterno anziché rimanere focalizzato sulla mia interiorità, come era ad esempio nei dischi precedenti. Ciò che vorrei fosse chiaro però è che non ho intenzione di fissarmi in alcuna forma o modo di essere: probabilmente il prossimo album sarà acustico perché per me l’essenziale, nel fare musica, è l’impatto emotivo che un testo produce e questo dipende esclusivamente dal momento che sto attraversando.
  • R.: Ad esempio nell’ultimo disco c’è Weightless ma la trovo un elettronica molto diversa da quella usata in P.A.L.S….
  • Robin: Weightless…già. E’ forse la canzone che ascolto di più dell’intero disco. Anzi ultimamente questo è il genere di canzoni che ascolto di più. Ci sono molti richiami ai Nothwist e a Goldfrapp che trovo molto interessanti. Ricordo di aver scritto questa canzone provandola alla chitarra decidendo poi di produrla in modo differente. E questo, come ti dicevo, è l’aspetto che separa maggiormente questo disco dai precedenti: mi sono soffermato molto di più sulla produzione. Da un lato è meglio, ma d’altra parte mi sono reso conto che spesso la produzione sovrasta la canzone e il testo in sé. Ed anche per questo motivo è mia intenzione tornare all’acustico.
  • R.: Mi ha molto colpito il pezzo strumentale “Twilight a the Hotel Moscow”. Che sensazioni stavi provando quando l’hai composta? Ti immagino in una stanza d’albergo ad osservare la luce del tramonto…
  • Robin: Ero a Belgrado dove ho soggiornato per due mesi in questo albergo ( l’hotel Moscow appunto). La mia stanza affacciava direttamente sul Danubio e l’atmosfera era qualcosa di indescrivibile con le sole parole: il cielo che imbruniva al tramonto – lento – del sole. Il momento più adatto per riflettere e stare faccia a faccia con se stessi e con la propria spiritualità vera.
  • R.: Negli ultimi due pezzi del disco ritorna il tuo passato, sento molti echi dei God Machine, come mai queste due canzoni?
  • Robin: A livello di somiglianza nel suono penso ci sia un doppio ordine di motivazioni. Prima di tutto perché, come ti dicevo, ho lavorato tantissimo a questo album insieme al mio batterista e ciò ha automaticamente comportato una dinamica diversa da quando si lavora per conto proprio. In un certo senso ero molto vicino al modo con cui lavoravo con i God Machine. In secondo luogo, ho impiegato lo stesso tipo di apparecchiature che usavo quando suonavo con loro ( stesse chitarre, amplificatori e pedali). Infatti mi ricordo che durante la masterizzazione del disco mentre ascoltavo pensavo “ perché questo suono di chitarra mi sembra così familiare?” E poi ho ricollegato che stavo usando gli stessi strumenti. A livello musicale, invece, non c’era né l’idea né l’intenzione di voler tornare indietro e rispolverare il mio passato.
  • R.: Ti va di parlare degli anni dei God Machine o sei stufo di parlarne?
  • Robin: Molte persone non capiscono che i God Machine erano il sogno di tre persone. Per me è molto difficile parlarne senza tirare in ballo tutto ciò che questa esperienza ha rappresentato e che chi non l’ha vissuta difficilmente capirebbe. Eravamo tre amici. Anzi spesso mi chiedono “Qual è la differenza maggiore tra i Sophia e i God Machine?” Ecco i GM erano tre amici decisi a creare musica insieme condividendo progetti, speranze e aspettative su questo progetto. Non c’era niente che non fosse condiviso.
    Quando Jimmy (Fernandez, bassista dei GM) è morto, Ron Austin (batterista) si è spostato e si è cominciato ad interessare al cinema io mi sono ritrovato da solo a voler continuare a creare musica. Ma lo spirito è cambiato, pur essendo rimasto io la stessa persona.
  • R.: Nel 1996 con Fixed water la tua musica sembra distaccarsi completamente da ciò che avevi scritto in precedenza. A cosa è dovuto questo cambiamento? Si tratta di una scelta voluta? Un bisogno interno o semplicemente quel disco si è scritto da solo?
  • Robin: Si non si è trattato di un qualcosa deciso di proposito. Si è creato da sé, spontaneamente. Certo si tratta di un qualcosa di assolutamente nuovo e diverso, ma è anche interessante notare che ascoltando il repertorio dei God Machine, nonostante questo repertorio fosse costituito in maggioranza di pezzi tiratissimi d’altra parte c’erano anche canzoni come The Hunter, It’s all over che sono davvero delicate. Beh in questo senso i Sophia non si discostano molto dallo spirito del secondo disco dei God Machine.
  • R.: Ti danno fastidio, se ti sono giunte, le critiche su una presunta eccessiva commercibilità di canzoni come “oh my love” o “pace”? O ritieni che si tratti – eventualmente- di polemiche sterili?
  • Robin: No, vedi quando ho scritto “Oh my love” non avevo la minima idea che sarebbe stata considerata una canzone “commerciale”. Si è vero, può suonare come una canzone di questo tipo, ma lo spirito non era minimamente questo. Diverso è invece il caso di “Pace” che da subito ho ritenuto una grande canzone pop e sin dal momento in cui prendeva forma la impostavo proprio come tale. Non amo la musica pop generalmente, né il mio progetto musicale ha questa finalità…Se qualcuno mi accusasse d’esserlo ci rimarrei di stucco. Ma in fondo vado dritto per la mia strada perché i miei intenti mi sono del tutto chiari e del resto mi interessa veramente poco. Forse, se ci sono state delle critiche orientate in questo genere, è perché entrambe le canzoni sono riuscite a far calare il pubblico all’interno dell’ingranaggio Sophia. Venivano passate alla radio, erano nelle orecchie delle persone, era naturale che potessero venire etichettate come “pop” anche per via della produzione. Ma scrivendole non sono nate come tali. Anche perché non saprei come si scrive una canzone pop.
  • R.: Che ne pensi della scena musicale d’oggi? Molti dicono che sono tanti i gruppi che ti sono debitori come fonte d’ispirazione.
  • Robin: Ultimamente ho una vera e propria passione per i Battles, sono fantastici. E poi sto riscoprendo i grandi classici del rock. Pochi giorni fa ho comprato l’ultimo live di Neil Young e sono sempre più convinto che sia il re della scena musicale ieri come oggi . Senza dimenticare il mio amico Malcom Middleton. Ascolto il suo disco solista praticamente ogni giorno. E’ uno dei più validi musicisti e compositori della scena attuale.
    In realtà sentire che ci siano gruppi che in un certo senso si sono ispirati alla mia musica mi diverte. I Mogwai ad esempio. Molti mi dicono che molto del loro sound deriva dal mio contributo.. ma loro prima di essere musicisti sono dei miei ottimi amici e io non riesco proprio a vedere dove sia l’influenza dei God Machine nella loro musica eppure molti dicono che non sarebbero esistiti senza la nostra musica.
  • R.: Come sono andati i concerti acustici? Come è stato il doppio set con Middleton degli Arab Strap? il pubblico ha reagito bene e perché solo una data?
  • Robin: E’ stato fantastico. Si trattava di un tour promozionale per questo abbiamo fatto solo una data ma ho intenzione assolutamente di replicare perché mi ha trasmesso delle sensazioni mai provate. Ho già fatto un tour acustico lo scorso anno, nato dall’esigenza di riscoprire le mie capacità compositive . Anche con Malcom si è discusso della possibilità di riproporre questo tipo di performance ed in effetti l’intenzione c’è da entrambe le parti. Vedremo, mi pare una possibilità molto concreta.
  • R.: Idee sul nuovo album?
  • Robin: Come ti accennavo sto prendendo seriamente in considerazione l’idea di un disco acustico. Sento il bisogno di confrontarmi col passato dei Sophia e con i primissimi dischi ( Fixed water e The infinite circle ) ricreando un’atmosfera più intima.
  • R.: Progetti per l’estate? Hai intenzione di partecipare a qualche festival?
  • Robin: Probabilmente alla fine dell’estate. Sono in tour senza pausa da Novembre ed ora avverto l’esigenza di prendere una pausa. Nonostante io sia una persona con degli alti e bassi fortissimi e nei momenti positivi abbia l’energia (e anche la sconsideratezza ) di un sedicenne per cui mi muovo senza pensarci dall’Europa agli Usa all’Australia ora ho bisogno di fermarmi e tornare a Londra da mia figlia, fare il padre e trascorrere con lei più tempo che posso.