Stars: Set ourself on fire

Sorvoliamo su un paio di cose per non ricordarci di quanto la nostra Italia si fa sempre più piccola nel panorama dei concerti. Cercherò quindi di non parlare dell’abissale differenza di un live all’estero e un live all’interno dei nostri confini, di come la gente non si ammucchi disordinatamente fuori dal locale come una mandria di mucche, di come un locale piccolo come una taverna riesca ad attrezzarsi così magnificamente per un concerto, di come i fonici riescano a seguire il gruppo sia dalla regia che da lato palco, di come l’organizzazione sia perfetta e puntuale e l’acustica ottima pur essendo in prima fila sotto il palco –da altre parti sarei uscito sordo. Saranno tutte piccole cose, sommate fanno la differenza. Ma sorvoliamo.

Il concerto degli Stars a Parigi è sicuramente nella mia top five personale. La band è ancora in tour con il bellissimo 'In Our Bedroom After The War' (disco del 2007 per il sottoscritto) e lasciarseli scappare sarebbe stato un vero peccato. Certo, si è dovuto partire da Roma e atterrare a Parigi per vederli live alla Maroquinerie, ma ne è davvero valsa la pena. Il combo canadese, di quella parte del Canada dove è bello suonare un po’ di tutto con un po’ di tutti, dove le formazioni si allargano e si ristringono come le maglie di una fisarmonica, arriva nella capitale francese con una formazione a sei. Torquil Campbell (membro fondatore) si alterna alla voce, armonica e trombe mentre Amy Millan è la voce femminile e la chitarra portante. Dietro di loro i tre che formano “ufficialmente” il nucleo degli Stars: Evan Cranley al basso e al synthbass (una Taurus marca Moog, circa 2000 euro di pedale) e Chris Seligman alle tastiere e il batterista Pat McGee, con un look quantomai anni '80 (rasato a zero con un ciuffo Magenta, occhialoni in stile Police); ad aiutarli sul palco un turnista dal volto noto (forse nei Most Serene Republic) che li aiuterà nelle chitarre.

Unica nota dolente della serata: gli Apostle of Hustle non saranno presenti. Un vero peccato che ha lasciato molti con un po’ di amaro in bocca. Ma a ritirare su il morale ci hanno pensato loro: inizio lento con la base tratta da 'In Our Bedroom After The War' e in un secondo … they set ourself on fire! È stato come un lampo, d’improvviso eravamo dentro la loro musica e, vista la vicinanza al palco eravamo proprio tra gli Stars. È stato uno show emozionante, il pubblico sembrava conoscere benissimo i brani, e gli applausi alla fine di ogni pezzo piovono copiosi. Ognuno sente le canzoni come un pezzo di sé, i testi sembrano essere patrimonio di tutti: ognuno li sa ma, allo stesso tempo, nessuno vuole cantarli. Molti si limitano a ricordare le parole col movimento delle labbra e raramente la voce del pubblico si abbina a quella di Torquil, quasi a non voler rompere la sorta di atmosfera-magia che lui e Amy hanno mentre cantano. Lei, con aria dimessa quasi assente si dedica alla chitarra, lasciandosi scappare dei sussurrati “mercì” a fine pezzo, Torquil invece è posseduto, passa da attimi in cui guarda fisso serrato la sua compagna, quasi a recitargli i versi come fossero dichiarazioni d’amore, ad altri in cui si dedica al pubblico, sale sui monitor che gli stanno di fronte, si scatena quando può seguendo il gruppo ora con la tromba, ora con l‘armonica. L’alchimia di suono è perfetta, tanto siamo entusiasti e eccitati noi sotto il palco tanto loro sembrano sentire le nostre “good vibrations”, e se ne nutrono, si divertono, prendono la loro energia e la riversano sugli strumenti. Non c’è stato un punto più alto del live, è stato tutto un picco. Ogni canzone, dalle più famose Ageless Beauty, Your ex-lover is dead, Elevator Love Letter, a tutto l’ultimo lavoro, con una chiusura da brividi affidata alla title track.
Bis richiesto con un’ovazione durata dieci minuti, dico dieci minuti ininterrotti di applausi per ritrovarli sul palco a dedicarci altre tre perle, tra cui What I’m Trying To Say, l’ultima canzone tirata della serata, e una lunghissima versione di Woods, tratta dal meno conosciuto 'Heart'.
Da brividi. E la soddisfazione generale è testimoniata all’uscita, dal piccolo desk gestito dalla crew letteralmente preso d’assalto. Non c’era rimasto niente: tutto finito, dall’ep 'Come back' (che non è neanche il primo lavoro) all’album di remix 'Do you trust your friend?'.
Ma come i primi concerti quando si è ragazzi, in cui vuoi a tutti i costi il ricordo e ti compri la maglietta a fine serata (quelle magliette che sono 80% plastica e 20% cotone), io volevo un ricordo:
Ho deciso di premiare Amy, acquistando il suo lavoro solista 'Honey from the Tombs?'
A presto la recensione su queste webpages.

Stars – Ageless Beauty