Bison – Earthbound

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Vancouver, Ontario, Canada. Forse stanchi di suonare solo trashcore a nome Streets ‘sti qua mettono su un gruppo chiamato Bison (e già, come dire, nomen omen…) ingrassando ben bene le chitarre e dedicandosi ad un benvoluto recupero stoner in chiave metal, tra Pantera, Corrosion of Conformity e Kylesa, per dire. Un percorso che per sonorità potrebbe all’inizio richiamare quanto fatto ad inizio carriera da band quali Mastodon o Baroness, quello sludge caciarone, colorato da armonie heavy ottantiano dai toni ancora immaturi di chi ancora non sa bene quale direzione intraprendere ma non può fare a meno di alzare la distorsione e darci giù di ritmiche spaccacollo. ‘Earthbound’ è ancora un’ep, o giù di lì, con sei tracce pienissime e tirate, zeppe di rallentamenti, cavalcate e assoli maledettamente rock, ma vale quanto un disco intero e ragionato, fors’anche di più: starci troppo a pensare, costruire canzoni con cura, perdersi dietro a concept letterari porterebbe fuori fuoco il concetto principale, per la cui definizione vi rimando alle loro stesse parole:

“Riffs, man. Important love of the riff. Honestly loving the shit that you do. You would just, like, do anything for the riff. It’s like your child: you create it, and you nurture it, and it grows and it grows, and it turns into this fucking amazing thing that you would die for, because it’s your fucking child. And then you send it out into the world, and it destroys things.”