Notwist, The – The Devil, You + Me

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E’ un dato di fatto. Ci sono tantissimi esempi, ne è costellato l’intero universo musicale.
Quando il “gruppo normale” estrae dal cilindro il coniglio più bello e spettacolare possibile, il gruppo perde l’accezione “normale” che viene sostituita da termini di ben altra caratura.
Era il 2002 quando uscì ‘Neon Golden’, e alzi la mano chi si aspettava una roba del genere.
Al tempo si parlò di new kraut e/o appellativi vari per circoscrivere il campo di definizione dei Notwist.
Al tempo a parer mio non ci si rese conto davvero di quanto quel disco avrebbe poi successivamente contaminato ed influenzato madonnate di band, di umori, di persone: divenne a tutti gli effetti uno status quo generazionale di tutte quelle persone che timidamente ancora ancorate alla “musica fatta con strumenti veri” dovettero cedere alle sue dolci e morbide carezze. Meno arty di ‘Kid A’, più chitarroso delle produzioni dell’allora poco nota Morrmusic, il disco sfondò la appena palpabile, ma difficile da avvicinare, linea di confine tra elettronica, alternative/shoegaze e pop.
Di lì a poco le più varie espressioni dell’indiepop-rock dovettero pagare tributo ai Notwist, se non altro a livello di produzione, di strutturazione di sound.
Oggi, anche se le cose sono sensibilmente cambiate, a quasi sei anni di distanza, gli echi di ‘Neon Golden’ sono ancora più vivi e forti che mai.
Ora esce il successore, ‘The Devil, You + Me’.
Tutto inizia con Good Lies, brano che circola come singolo online già da un po’ di tempo. E’ un cielo che si sta aprendo tra un acquazione e un tramonto roseo, è una malinconia sulla quale molti come me piace adagiarsi per non sentirsi soli; sembra voler esprimere autodeterminazione, riassumendo come in un manifesto partitico le iconografie e le linee di pensiero del gruppo..
Where in this world apre con un’orchestrazione: da qui si sviluppa una ritmica digitale sincopata apoggiata su leggeri pads e glitches.
Tocca quindi alla semi-acustica-simil-qualcosa-a-là-Pavement Gloomy Planets che andrà ad occupare le giornate passate a rimpiangere chissà quali occasioni perdute.
Alphabet è fredda e krauta, ottima negli inserti di batteria naturale; tra un glockenspiel ed un soffice arpeggio di chitarra le succede la delicata The devil, you & me.
Ecco Gravity che ci fa rituffare nella canonica formula Notwist, glitch+powerchordes, quindi la dondolante Sleep e poi la dubby On planet off. Il terzetto finale è composto da Boneless (fazzoletti a portata di mano ;), Hands on us e Gone gone gone.

Queste credo siano tutte le riflessioni che con onestà sono riuscito ad elaborare su questo album.

Alcuni lettori delle mie recensioni mi hanno appuntato più volte di essere troppo storicista nella stesura degli articoli, ma la questione è che secondo me, come in questo caso, non si può prescindere da ciò che sta alle spalle di un disco, di un gruppo, specialmente in un caso appunto come questo.
Se ‘The Devil, You + Me’ fosse uscito al posto di ‘Neon Golden’ il mio parere nei suoi confronti sarebbe ben più entusiastico.
Siamo di fronte ad un disco realizzato con capacità indubbie, con gusto impeccabile.
Ma credo sia lecito dopo magari una ventina di ascolti ammettere se non altro a se stessi che forse sarebbe stato giusto pretendere qualcosa in più dai Notwist. E’ sacrosantamente vero che ripetere capolavori come ‘Neon Golden’ sia quasi impossibile.
Ma non voglio rimanere abbagliato in eterno dal talento di una band che rischia di risplendere grazie principalmente ad un album di sei anni fa.
Non voglio esaltare ulteriormente la voce di Markus Acher, perchè non ve ne è davvero necessità.
Mi chiedo solamente perchè in quasi sei anni a disposizione il terzetto tedesco non sia riuscito a trovare quel coraggio che gli permise di fare quei salti qualitativi e di ricerca che chi conosce i Notwist ha ben presente.
La lacrimuccia scende comunque.