Tanta è la carne messa al fuoco da ‘Shine A Light’ , tali i nomi scomodati dall’attesa pellicola che manco si sa da dove iniziare. Ci sarà chi si siederà in sala principalmente per Martin Scorsese e per il suo ritorno all’amato rockumentario, o meglio, al vero e proprio film concerto, il primo in trent’anni esatti da ‘The Last Waltz’. Molti saranno curiosi di sapere del suo stile ineccepibile, della sua maniera capillare di osservare il concerto (diciassette le telecamere intorno al palcoscenico!), della cura nelle luci e nella fotografia, della sapienza magistrale con la quale stacca “in diretta” sui componenti della band suggellando così dei pianosequenza d’antologia, di una grammatica visiva così variegata e complessa rispetto a tutti i live-dvd d’ordinanza che rimasticano quei tre quattro raccordi basilari fino alla nausea; ma anche dello stile dissacratorio e (auto)ironico con cui tratta il rapporto controverso tra sè e quell’altra primadonna di Mick Jagger, dell’alternanza spesso irriverente con i contraddittori filmati d’epoca e del modo con cui “smalizia” sull’incontro della band con l’ex presidente Clinton, sulle relative smancerie cerimoniose di contorno, azzeccando immancabilmente i particolari da catturare.
E poi ce ne saranno altrettanti accomodati in poltrona esclusivamente per vedere per la duecentomilionesima volta in azione, tramite differita multicomfort, Loro, i Macigni del Rock. Ma al contrario di ‘The Last Waltz’ che incorniciava l’ultimo respiro della Band di Robbie Robertson, o di ‘No Direction Home’, che a ritroso recuperava i cocci di un bienno cruciale per la vita di Bob Dylan, quello che ‘Shine A light’ testimonia non è né la prima né (fino a prova contraria) l’ultima, ma solo una delle tante (auto)celebrazioni Stonesiane, con relativa giostra d’ospiti e il lussuoso Beacon Theatre di New York a fare da sfondo. Di conseguenza ciò che spesso traspare oltre schermo è lo Spettacolo più che la musica, è la professionalità della Routine più che l’emotività dell’Evento: e ha un bel definire il film “noioso”, Jagger, chè se la pellicola, nella sua perfezione formale, mostra qualche attimo di cedimento, la colpa non va certo attribuita alla regia ma proprio alla Sua persona, quale prima ed indiscussa responsabile della Sezione Spettacolo nel direttivo della Rolling Stones S.p.a..
A meno che non apparteniate al partito di quelli che “arrivarci a quell’età così, ci farei la firma”, comprenderete perfettamente quanto ci sia di tragicomico in un posteriore di sessant’anni costretto ad agitarsi come ne avesse venti, o in un’anca che si scuote pericolosamente a destra e a manca per meri obblighi contrattuali; la cosa diviene spietatamente chiara nella sequenza del duetto con Christina Aguilera: sulle note di Live with Me: Mister e Miss Lascivony, da veri professionisti del sesso mediatico, si abbrancano a vicenda e allestiscono un amplesso perfetto dal punto di vista scenico, ma che subito si tinge di patetismo quando sovviene il pensiero che con tutta probabilità il sessuomane Jagger è entrato in menopausa da un pezzo…
Richards invece no, per lui è tutt’altro discorso: Richards che distribuisce aforismi di britannico sarcasmo, Richards che non nasconde l’età, anzi, porta ogni ruga come una medaglia al valore, Richards che anche nel mezzo del Circo Equestre riesce comunque a ritagliarsi un’oasi di musica distillata: sarà lui lungo lo spettacolo a donarci i momenti più rock’n’roll, che poi corrispondono quasi sempre ai momenti dove gli Stones “ritrovano il blues”… così è almeno per uno dei picchi del film, l’esibizione sullo standard Champagne and Refeer al fianco di un Buddy Guy sorridente, splendidamente illuminato dall’alto, quasi fosse in missione per conto di Dio. Con lui Richards ingaggia un superlativo duello da Junior a Senior, cui presto si aggiungerà il terzo incomodo Ron Wood e perfino l’armonica a bocca di Mick, una volta tanto di spalle al pubblico e del tutto incurante delle sorti del proprio baraccone. Per un attimo meraviglioso il vis a vìs sconvolge le tempistiche rutilanti dello spettacolo e va a caccia dell’estemporaneità tipica del blues, concludendosi per l’appunto con l’omaggio del “ferro” tra le mani di Mastro Buddy, nel pieno rispetto della tradizione del Mississipi.
Finalmente solo sul palco, Keith si impadronisce del microfono per intonare You Got the Silver: al contrario di quello centrifugato del collega, il carisma richardsiano si conferma totemico, immobile e sciamanico come le ampie gestualità di un Griot africano.
C’è ancora il tempo per una Connection teneramente orribile e poi, ricoperto di piume di struzzo, Jagger uscirà dalle Porte Dell’Inferno (letteralmente) per ribadire il suo dominio: parte Sympathy for The Devil, poi sarà il turno del famigerato duetto con l’Aguilera, della canzoncina di Windows ’95 e del bis con Satisfaction e riprenderà a viaggiare a pieno regime quella che molti chiamano “la più grande macchina live al mondo”. Su questa definizione, però, nemmeno ‘Shine A Light’ riesce ad accendere troppi lumi chiarificatori: e se sull’esattezza della Macchina c’è davvero poco da eccepire, per trovarci ancora qualche cosa di “live”, di “vivo”, forse ci si sarebbe dovuti dare appuntamento qualche era geologica fa.