Motorpsycho: Lucidi e letali

Ci sono concerti che lasciano senza fiato. Ci sono concerti in cui tutti gli elementi si trovano al posto giusto: suoni, volumi, luci, pubblico, scaletta, impatto, artisti in vena. Ecco, lo spettacolo dei Motorpsycho è stato così: perfetto e da togliere ogni respiro. I tre norvegesi hanno dato il meglio grazie anche ad una successione di brani che ripescava ampiamente dai bei vecchi tempi andati di ‘Blissard’ e ‘Angel & daemons at play’, e naturalmente con qualche aggiunta delle lunghe suite provenienti dal favoloso ultimo lavoro ‘Little lucid moments’. Hans Magnus “Snah” Ryan, Bent Sæther e il giovane (rispetto agli altri due di circa 10 anni) nuovo talentuoso batterista Kenneth Kapstad, eccoli i Motorpsycho.
In un Alcatraz non così pieno come dovrebbe ma con un pubblico assolutamente adorante e voglioso di assistere ad una delle loro celebri esibizioni live, il gruppo parte subito con She left on the sun ship, tredici minuti di noise, prog e psichedelia. Da quel momento tutto prenderà i contorni di uno di quelli che potrebbero essere definito come “concerto dell’anno”: trascinanti nella bella versione veloce e heavy di Kill Devil Hills, ma soprattutto con pezzi incredibili quali Sinful wind-borne, Like always, Drug thing e Superstooge. Forse la voce di Bent è un po’ bassa, in compenso c’è un suono delle chitarre di Snah che definire “incendiario” è poco. Già, Snah: canta lui la maggior parte delle canzoni e nelle esibizioni vocali è migliorato notevolmente.
L’accoppiata You lied/Nothing to say manda tutti in visibilio e sarebbe potuto essere ancora meglio visto che dopo la grandissima “hit” contenuta in ‘Demon box’ avrebbe dovuto esserci una certa Heartattack mac. Purtroppo il moog taurus di Snah decide di impazzire (“Our machine from hell is gone to hell. Well, there’s other stuff to play” sentenzia ironico Bent) e allora la chiusura della prima parte è dedicata ad una versione assolutamente esaltante di The alchemyst. Pochi minuti di pausa e rieccoli sul palco per uno dei momenti forti di questo tour europeo: 25 minuti di viaggio mentale sulle note della canzone che dà il titolo all’ultimo lavoro. Incredibile, mai noiosa o scontata. Il concerto sarebbe anche finito, e il finale perfetto, ma si sa che i tre non smetterebbero mai di suonare: incitati dalla folla decidono di fare il loro ritorno on stage per concludere con un pezzo che sorprende tutti e che Bent presenta così: “This is from our very first record… yes, it’s back… it’s called Hogwash”. Un tuffo nel passato: era il lontano 1991 e l’album ‘Lobotomizer’ e quella fatta questa sera è una versione estremamente violenta, lunga, potente e coinvolgente, molto hard rock.
Fine.
Due ore e mezza in apnea. Senza fiato. Dio benedica i Motorpsycho.