Anche quest’anno il Giovinazzo Rock Festival, organizzato dai dinamici ragazzotti dell’Arci 37 della medesima località adriatica, arriva atteso e puntuale per donare a quest’ultimo week end del luglio barese più spessore e meno lucignoli bellavita per le strade.
Gli ospiti più attesi per gli indie-boy di questa edizione sono sicuramente i Blonde Redhead che, come headliner della prima serata, ovviamente non deludono le aspettative dei numerosissimi astanti. Mentre per i rasta wannabe l’appuntamento è invece quello dell’ultima serata con gli Africa Unite.
Ma l’esibizione che in questa sede s’intende trattare è quella della seconda serata, quella dedicata al rock psichedelico dei bolognesi Alix, che zitti zitti (si fa per dire) sono saliti sul palco con Steve Albini come garante. Si parte da loro perché l’inevitabile ritardo ha impedito l’ascolto delle band precedenti, e perché tra un percorso eno-gastronomico obbligato e un saluto a vecchi amici ritrovati ci si è avvicinati al palco richiamati da un sound granitico e da una versione femminile di Robert Plant. Vero! Chi inizialmente aveva anteposto spocchia e disinteresse nei confronti degli Alix (me compresa) si è ritrovato dopo qualche minuto a bocca aperta sotto il palco, completamente inebetito dalla potenza di riff compulsivi, desertici slide-blues e dalla voce velenosa e magnetica di una potenziale PJ Harvey emiliana.
L’esibizione dei bolognesi termina tra molteplici smorfie di approvazione e applausi consapevoli e meritati, ma i minuti successivi, trascorsi in compagnia di due buffi presentatori, sono stati impiegati in estenuanti sgomitate per la presa della prima fila.
Giunti sul palco Paolo e compagni, tutto è cambiato, l’ansia da posto migliore si è placata e ognuno di noi è rimasto totalmente stregato dalla loro energia, dalla loro intesa, da quel nervoso picchiare il piede sul palco, in grado di coinvolgere come sempre anche gli spettatori capitati lì per caso.
Dopo aver citato la celebre frase di Giovanni Paolo II, evidenziando scherzosamente la sua emozione nel suonare di fronte un pubblico così folto e dopo aver presentato se e i compagni come i Camaleonti, il concerto parte con La Schiena ripercorrendo, con imperturbabile rigore, buona parte del suo ultimo lavoro e inserendo versioni più dinamiche e svelte di Cerchi Nell’Acqua, Il Sentimento Delle Cose e Suggestionabili (quest’ultima non particolarmente convincente).
Durante l’intera esibizione, ma soprattutto durante Amore Santo E Blasfemo, è naturalmente emerso che Paolo era in preda ad un fastidiosissimo abbassamento di voce che lo ha costretto a frequenti colpi di tosse tra un cantato ed un altro, ma esclusi un paio di momenti in cui non ha di certo raggiunto la perfezione, neanche questa difficoltà è riuscito a frenarlo dal comunicare la sua ormai consacrata intensità espressiva.
Il momento più singolare della serata arriva inaspettato (almeno in questi luoghi) proprio in chiusura, quando Paolo e chitarra sono scesi giù dal palco improvvisando col pubblico delle prime file un breve live acustico dei vecchi brani. E così tra E’ Solo Un Sogno e la richiestissima Il Mare Verticale si è divertito lasciandoci cantare con lui e illudendoci che le nostre voci lo avrebbero aiutato a concludere l’intero live, nonostante l’ormai palese problema vocale.
Arrivati a questo punto si sarebbe andati avanti fino all’alba continuando a chiedergli di cantare tutte le sue canzoni, come ad un falò in spiaggia, ma la fretta di chi lo attende per autografi e foto lo costringono a chiudere per poi raggiungere i compagni nel backstage.
Tutto questo per sottolineare che fino ad ora si è parlato di un’artista che non ha neanche una volta sminuito la sua grandezza artistica e la sua personalità, né nelle sue produzioni né nelle esecuzioni live e per ringraziare chi negli anni sta sicuramente migliorando il taglio di questo evento, nonostante le difficoltà e i pochi mezzi, permettendo la realizzazione di un appuntamento ormai diventato una rassicurante certezza.
Foto by Amarantajay