Democrazia #9 – Liir Bu Fer – Herba Mate – Design

L’immagine è lì, fissa davanti ai miei occhi. Vedo gli scatoloni, vedo i sacchi neri, vedo la gente che li riempie, ci mette dentro la propria roba. Non sto parlando dei vicoli di Napoli, sto parlando del MEI e dei demo buttati nei cesti di raccolta delle etichette assieme alle proprie speranze. Questo accadeva qualche anno fa, ora mi hanno detto che le cose sono cambiate: i demo adesso non li vuole proprio più nessuno. La tendenza è generalizzata: lo scouting non lo fa davvero più nessuno e sembra che più alta diventi l’offerta di musica, più il muro di gomma che divide le etichette e le case discografiche dai musicisti si faccia più spesso: sui siti delle major non compare più nemmeno un indirizzo a cui inviare il proprio lavoro, disclaimer belli grossi sui siti delle etichette minori avvisano che non si accetta materiale di alcun tipo, la figura del talent scout è praticamente leggendaria, pari a quella del folletto che custodisce la pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno. Ma allora da dove vengono le nuove leve della musica italiana? Il segreto di Pulcinella è quello che sanno tutti. Il mio consiglio per le band? Fatevi degli amici. O procuratevi i parenti giusti. Passare tutti i sabati sera nel locale dove vorreste tanto suonare alla fine vi porterà qualcosa, non vi preoccupate. Una fidanzata che lavora per la Rai fa molto comodo se c’è il bisogno di passare alla radio il brano della band che producete. Un fratello con una band ben avviata vi spianerà la strada, state tranquilli. Costruitevi intorno una rete fatta di amicizie giuste, includete artist developers, recensori, direttori artistici, fotografi, ragazze in leggings col pallino delle PR, diventate i fottuti Bettino Craxi della situazione con la vostra corte di nani e puttane al seguito e vedrete che non ci saranno problemi per suonare. Certo poi il successo – e i soldi, quelli veri, quelli con cui campare bene – sono un’altra cosa.

Il primo ascolto di oggi non è un disco: è un’esperienza, è un’installazione d’arte, è avanguardia, è la colonna sonora che ti aspetti di ascoltare quando entri nel negozio di esoterismo e sei il protagonista di un film di Cronenberg. Questo è il primo album dei Liir Bu Fer, 3juno,  esponenti di un’elettronica dal sapore onirico, dove le tracce si riversano l’una nell’altra come nella tecnica narrativa del flusso di coscienza. Di solito non giudico in questa maniera gli album che arrivano a Democrazia, ma credo di non poter affrontare in maniera troppo razionale un lavoro che si rifà totalmente ad una sfera non razionale ma evocativa ed emozionale. Inutile stare a parlare di songwriting, produzione, tecnica e performance, questo è  un cd fatto di paesaggi sonori e di emozioni musicate, non a caso il trio si occupava di installazioni audio-visive. Di band così se ne contano sulle dita di una mano e tenendo conto che in Italia il concetto di elettronica si riduce al 90% a pischelli col ciuffo in skinny jeans che suonano le Casio dai suoni plasticosi più demmerda mai concepiti, i Liir Bu Fer sono qui in Italia gli esponenti di una scena che non ci sarà mai nemmeno fra 20 anni. Buttate al cesso i cd dei Port Royal che fanno l’elettronica coi suoni del MacBook ed ascoltate i Liir Bu Fer.

Gli Herba Mate sono invece un trio di Ravenna. Dal nome avrei potuto giurare fossero una band reggae ed invece si inseriscono in pieno nel filone dello stoner rock (tanti demo stoner quest’anno, deve esserci un forte revival del genere). Adesso che ritorniamo in un genere di quelli concreti posso tornare ad essere il solito recensore cagacazzi re della sua rubrica. La prima cosa che ho trovato lampante in questo The Jellyfish Is Dead And The Hurricane Is Coming è che il  bassista-cantante della formazione è uno che spacca i culi e deve essere cresciuto a pane e Metallica: la performance vocale che presenta è spiccicata a quella del miglior Hetfield: sono sbalordito per la bravura ma anche preoccupato perché non si può essere così copycat di una voce così famosa – meglio sviluppare una propria personalità vocale in questo caso. I pezzi migliori sono quelli più veloci, dai riffs efficaci come Nicotine e 1 to 65, comunque tutti i brani si lasciano ascoltare senza annoiare e nella scrittura dei pezzi la band è riuscita a capire dove piazzare i giusti cambi di tempo e i momenti di aspetto, anche se non si trovano sorprese nell’ascolto che facciano presagire qual passo in più che può fare la differenza fra un gruppo bravo ed uno che ti piace veramente. Buona la produzione, peccato per un sound tenuto livellato sempre sui medi che ammazza il suono del basso, presente e quasi sempre fuzzato ma mai roboante.

Ultimi della puntata sono i Design, quartetto che dichiara di rifarsi al rock anni ’90. I 4 pezzi per il loro 4 Little Hanged Toys alle mie orecchie suonano più come il rock da classifica americano dei primi anni 2000. Ascoltando il cd in un brainstorming di roba che mi ricordo di aver ascoltato e poi lavato via dal cervello mi vengono in mente artisti come 3 Doors Down, Third eye blind, American Hi-Fi, Nickelback, Letters to Cleo, Elcodrive, Eve 6, Everclear nei momenti migliori, Good Charlotte nei momenti peggiori. E’ un lavoro patinato e poco ficcante nei suoni come nella migliore tradizione del genere e proprio nella migliore tradizione non presenta belle canzoni, ma brani con un appeal molto facile, cheesy, già sentiti, buoni per non impegnarti il cervello. Un cd così non presenta nessun tipo di fascino purtroppo né una personalità e suona come un generico esercizio di stile.