Melissa Auf der Maur @ Spazio 211 [Torino] 10/12/2010

Attitudine e visuals: ahem…come si fa a rendere giustizia alla presenza scenica della bella rossa senza perdersi in bave da scribacchino frustrato e/o criptomaschilista? Fortuna che il filmato proiettato a inizio concerto ci viene incontro: circa trenta minuti di girato, tra quelle che sembrano le foreste canadesi, dove la Melissa (anche regista) veste i panni di una fanciulla prima e di una strega dal manto nero poi. Vichinghi, alberi che sanguinano, atmosfere alla David Lynch in un improbabile concept esoterico-naturalista: troppo difficile spiegarcelo da qui, stretti come siamo fra altre centinaia di persone. Basterà sapere che le immagini scorreranno in flusso continuo per tutta la durata del concerto, rendendo la bassista un’attrazione fra le attrazioni.

Audio: all’inizio il microfono non si sente per nulla: ( “la solita squinzia che si muove bene ma non sa cantare”). Poi si aggiustano i volumi, la voce non cresce granchè ma regge bene l’impatto di una band ben oliata ma che sta sempre attenta a non prendere il sopravvento sulla timoniera. Il tiro è costantemente alto, senza momenti di stanca.

Setlist: si fa bastare il materiale dei due dischi solisti, con una leggera prevalenza del più recente Out of our minds. Aggiungono un po’ di ciccia le cover dei Black Sabbath (una Paranoid lenta e molto doomy, modello Type O’ negative) e When the Music it’s over dei Doors come pezzo di chiusura. Apprezzabile la scelta di non tappare i buchi con pezzi di Hole o Smashing Pumpkins – a proposito, da quel che si vede qui, tenersi fuori dalle rispettive reunion è stato l’affare della vita.

Pubblico: tanto e interessante. Ci sono i maschietti attirati dal canto della sirena e le ragazze che ammirano l’icona, ma non solo loro. In giro si trovano un po’ di eyliner, un po’ di barba, un po’ di simpatizzanti del metallo e anche qualcuno che non veniva più a un concerto da quella volta con gli Ac/Dc. Vai a sapere come, sembra che tutti loro abbiano saputo che quello della Auf Der Maur non è un live come gli altri.

Momento migliore e Locura: questa volta coincidono. Nel senso che il momento più “di dubbio gusto” è anche il più rappresentativo del concerto. Un duetto con la voce preregistrata di Glenn Danzig sulla base di My father’s grave. Sarà che la  canzone è piuttosto intima, perchè – spiega lei – è dedicata al babbo naturale Nick (morto da poco) e al babbo artistico Danzig (morto da sempre)… Sta di fatto che tutta quanta la band toglie il disturbo e per una canzone la lascia padrona incontrastata del palcoscenico: tanto per far capire chi porta i pantaloni da queste parti.

Conclusioni: diffidino i puritani, critichino pure gli impazienti del “SUONA! SUONA!” sempre allergici ai grandi allestimenti. Da queste parti, di live set dell’ex batterista di Tizius o dell’ex turnista dei Caius (…Kyuss?) ne abbiamo visti parecchi, e non sempre è stata una festa. Con la Auf Der Maur è un altro discorso: a forza di frequentare i festival pirotecnici dell’hard’n’heavy ha perfezionato uno spettacolo con pochi pari in ambito indie. Se a fine spettacolo c’è la fila per chiedere l’autografo – con, va da sè, la foto – un motivo ci sarà. E non è tutta questione di “bella presenza”.