Subsonica – Eden

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7 marzo 2011 EMI Subsonica.it

Benzina Ogoshi

Dite quel che vi pare, ma la semenza da cui sono germogliati i Subsonica resta qualcosa di unico: un suono appena nato e già inconfondibile. Erano le sei corde di Max Casacci che dopo lunga militanza reggae incontravano l’elettronica, senza però incagliarsi nel dub: era l’alt-pop degli anni novanta che girava al largo dai chitarroni e s’imbatteva in atmosfere urbane, riuscendo a smarcarsi anche dagli incubi sintetici che ci avevano turbato per tutti gli ottanta. Un equilibrio improbabile eppure incredibilmente riuscito, e tante convocazioni nei cartelloni europei non sono un caso.

Certo, quel che viene dopo Tutti i miei sbagli e Sanremo è storia: un’altra storia, che passa anche per il nazionalpopolare. Vai a un concerto dei Subsonica e puoi incontrarci il frequentatore di dancefloor come l’appassionato di rock, il sommelier da scena alternativa e il/la tamarro/a terminale con una media di un centinaio di serate in discoteca e un paio di concerti l’anno (l’altro, se ve lo state chiedendo, è probabilmente di Vasco o Liga). Fin qui nulla di male, anzi: una platea composita per un sound composito, bene, bravi. Ma tante anime sono difficili da tenere insieme, e quando ci si mette in testa di pedinarle una ad una il disastro è dietro l’angolo.

Tutto questo prologare per venire a un punto: nel loro ultimo album i Subsonica si sono affidati al plebiscito. Succede, letteralmente, con Benzina Ogoshi, il cui testo viene completato con la collaborazione dei fan: un esperimento di (parziale) scrittura collettiva che deraglia in un gran fritto misto anche musicale – e su quel fronte gli ammiratori sono esenti da colpe. Proprio il brano che doveva fare da sfottò verso i detrattori (“non siete riusciti a bissare /Microchip Emozionale” recita il ritornello) diventa un autogol, pareggiato in bruttezza solo da Tra gli Dei.

Ma la vocazione plebiscitaria interessa tutta la scaletta, anche senza interpellanza diretta. Insomma, qui se ne trovano per tutti i gusti: la ballata da accendino (Quando), il pezzo danzettone (Prodotto interno lurido), la melodia da mandare a memoria (Sul Sole) e addirittura il famigerato tormentone synth ottantiano (La funzione) con ospiti nientemeno che i Righeira. Dico i Ri-ghei-ra…non si riesce neanche a sillabarli per bene.

Se da queste parti qualche trovata buona c’è, è quasi sempre usata per i fini sbagliati: è il primo difetto di una formazione che poteva insegnarci una lingua nuova e invece si è accontentata di parlarne tante, e tutte assieme. Più che il pacifico e armonioso giardino dell’Eden, questa,  consentiteci, sembra quel gran casino della Torre di Babele…