Attitudine e Visuals: Freschi, sudati e punk. Lo specchio dei loro video. Instancabili, rapidi ed energici tengono la scena per un’ora e un quarto con solo due boccate d’aria e d’acqua da pochi secondi. I primi tre album pubblicati con la SubPop e gli ultimi due con la Kill Rock Stars, non conosco i motivi del cambiamento ma non nego che avrei preferito se fossero rimasti con la SubPop. Stasera suonano tra gli esordienti nella rassegna mensile SoundBits nonostante 5 album e nove anni di storia. L’atmosfera é nordica, club fiammingo interamente in brick. Volte alte, palco basso, due chitarre (di cui una di ricambio) basso e batteria. Niente effetti scenici, solo i tre ragazzi di Portland e qualche distorsione.
Audio: A ridosso del palco non puoi pretendere un suono pulito, ma conosco la sala e garantisco che lo standard é elevato. Peccato per il volume troppo alto ma in soccorso ci sono tappi per le orecchie disponibili al bancone del bar. La batteria si coordina perfettamente con la chitarra, ma il basso ne vien fuori poco. Non importa, i ragazzi non stanno ascoltando la bassista: al massimo le guardano le gambe.
Setlist: I pezzi nuovi la fanno da padrone, serve a questo un tour, il pubblico pero’ si scalda al suono di «Ora un vecchio pezzo!» ed é gridando “Hardly art, Hardly garbage!” che comincio anch’io a ballare. No Culture Icons é infatti il primo singolo della band dell’Oregon. Pubblicato nel 2003 é entrato dopo qualche anno in mio possesso grazie all’ormai defunto santuario della musica Disfunzioni Musicali. Non sono di parte quando vi dico che il maggior successo lo hanno riscosso pezzi come Here’s your future, Returning to the fold e A pillar of Salt, tutti contenuti nell’album The body, The Blood, The machine di cui mi porto a casa il vinile con dedica. Il piu’ pop e piu’ recente Now we can see viene bissato a fine concerto accompagnato da un coro di Oueouooo (consiglio l’ascolto del pezzo per capire di cosa parlo).
Momento Migliore: Come detto sopra momenti migliori le esecuzioni di Here’s your Future, Returning to the fold e A pillar of Salt
Pubblico: curiosi, fan scatenati, chi passava di lì a bere una birra, amici e amici di amici, ne ho trascinati dieci solo io. Davanti e di fianco mi ritrovo un pubblico giovane ma se guardo dietro c’è un tipo enorme con un chiodo e sudo solo a guardarlo. Pubblico che partecipa, c’è chi canta, chi inventa, chi scuote la testa, chi non si muove e osserva, chi chiede gli autografi e chi chiede « What’s the band name? ». L’ Europa per fortuna ama ancora scoprire nuova musica.
Locura: La bassista che alza il braccio mostrando la sua ascella non depilata in perfetto stile punk, e poi tra il pubblico il tipo col chiodo di cui sopra che al momento del pogo decide anche di salirmi su un piede (forse non vedeva bene il palco).
Conclusione: Un concerto che fila liscio e incalza rapido, un power trio che attrae i passanti festaioli del centro di Brussels e li spinge all’interno, nonostante la prima serata primaverile. Era tempo che non ballavo per tutta la durata di un concerto, erano anche 6 anni che aspettavo un loro live. Esco sorridendo col mio vinile sotto braccio, saluto la band dicendo « A great show! » pensandolo davvero.