Van Der Graaf Generator – A Grounding in Numbers

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11 marzo 2011 Esoteric Vandergraafgenerator.co.uk

Your Time Starts Now

Con tutta sincerità “lasciati in aria” dai tempi di “Pawn Hearts” in quel del ’71, e ritrovarli ora davanti a strati industriali di cd da recensire dopo circa 41 anni, i Van Der Graaf Generator di Peter Hammil creano subito un piacere misto di curiosità/titubanza che emoziona non poco e che fa risalire nelle tempie le “circumnavigazioni alcaloidi” di svuotini e chili di Rizla + per kilometri di giovanili “viaggi sdraiati”.

Certo gli anni sono passati in lunghe colonne, i miti di un tempo o si sono ingrassati a dismisura oppure appannati nella memoria, ma un paragone tra ieri ed oggi è d’obbligo. Preso dal lettore ottico questo “A grounding in numbers” – ultimo della lunga fila discografica dei VdGG – dapprima lascia così, di seguito ti lavora i kundalini sonici e poi ti abbandona, lasciandoti a girare come un trottolone elettrostatico come una volta, sì come una volta, perché anche se il tempo è tiranno, la band di Manchester cambia poco della sua formula magica, tutto è intatto –  a parte qualche defezione nella line-up originale –  a cominciare da quella leva prog/psycho, rampa di lancio tra terra e cosmo.

E c’è sempre quella distanza dagli altri “Elfi” del prog del tempo, quel favorire lo psichedelic-space cupo amniotico e gassoso al barocchismo estatico di tanti “nemici” di allora. E ci sono sempre loro, i cosmonauti della leggenda, Peter Hammill, Hugh Banton e Guy Evans al comando di questo “generatore di poetical cosmique” che, tra libidini canterburiane, apnee dissacranti d’acidità psichedeliche e atemporalità, ha drogato e seguita a farlo la ciclopica fattezza del rock.

Questa volta i VDGG danno i numeri, si, ci portano nella profondità dei numeri e delle formule, della loro certezza che si avvicina al trascendentale, universo e medianicità vincolati nell’asprezza dolcificante di “altri suoni”. Ma allo stesso tempo provano che suonare il progressive ai giorni nostri ancora si può, che non tutto è oramai relegato agli armadi degli ex-voto sonori ma che questo genere vive e gode ancora di ottima salute, sempre se a certi livelli ovviamente.

Tredici traiettorie di deliri drammatici e sogni disturbati che vanno dai dettagli onirici di “Mathematics” agli schizzi acidi e guasconi di “Embarassing kid”, la drammaticità d’echi preparatori a viaggi eterei “Your time starts now”, la teatralità sintetica “Medusa”, l’iniezione di metedrina barocca “All over the place” fino alle lobotomie since 70’s dove i misticismi di synth fanno miracolistica sonora “Highly strung”, “Mr. Sands”.

Via le interminabili suites e le piroette jazzate, arriva la forma canzone e con essa forse anche una leggera deragliata ideologia e strutturale nell’insieme. Il “black hole” in evidenza è la mancanza della “fiatistica” di David Jackson e del suo caratteraccio imperioso. Forse Jackson è rimasto a ciondolare e pensare lassù dove non esistono gravità e impegni, insieme al Marco della Musica Ribelle di Finardi, quel Marco …” che di dischi ne fa la collezione, conosce a memoria ogni nuova formazione, e intanto sogna di stare in California o alle porte del sole che stanno su in Germania…”

Van Der Graaf Generator, sostanza allucinante Doc legale. Approfittatene!!