Red Hot Chili Peppers – I’m With You

Acquista: Data di Uscita: Etichetta: Sito: Voto:
30 Agosto 2011 WarnerMusic.it RedHotChiliPeppers.com

Even You, Brutus

Johnny se n’è andato e non ritorna più, ma il treno delle sette e trenta senza di lui non deraglia; non porterà verso alte vette immaginifiche, ma solo perché continua ad andare verso quell’orizzonte che i Red Hot Chili Peppers continuano a dipingere da tre dischi a questa parte: superfici levigate e buone che non strappano più, di cui Frusciante è stato complice.

Che senso ha compiangerlo se è passato a fare cose molto più sconvolgenti senza frustrazione? Senza contare che a) i Red Hot esistevano anche prima  di adottarlo (decidere da quant’è che non esistono più è una cosa cattiva e inutile), b) a sostituirlo è arrivato il suo secondo, Josh Klinghoffer, che è praticamente anche il suo doppio più rarefatto e senza zeppola (il che porta a chiedersi cosa c’entri con i Red Hot di oggi…e John cosa c’entrava?).  Detto ciò, questo filantropico ‘I’m with you’ non può essere spazzato via dal rimpianto: finché non si verrà a sapere dalle labbra di Giacobbo che i Quattro Cavalieri della Californicazione sono in realtà Il Male che fa sgonfiare i soufflé per ordine della Confraternita di Quelli Un Sacco Cattivi, non riuscirò a smettere di volergli bene.

Perché loro fanno musica per stare (e far stare) bene; con un retrogusto acido e conturbante, ma non lasciano nessuno da solo, o almeno questa è l’impressione innocente. L’impressione insinuante è che ormai siano solo un marchio come tanti altri: trovato il target (coloro che hanno aperto un mutuo per sentirli dal vivo), trovato l’inganno. Ma come si fa a prendersela dopo aver ascoltato pezzi come ‘Happiness Loves Company’ o ‘Dance Dance Dance’? Le ipotesi sono tre: o i Red Hot sono geni del male, o semplicemente delle marionette nelle mani di qualcuno, oppure io sono una mammoletta. In ogni caso, le influenze sonore stavolta entrano ed escono da Los Angeles e da Londra, facendo diverse incursioni negli angoli più tribali di questo pianeta, per raccogliersi infine nel congedo funebre ‘Brendan’s Death Song’ (stranamente a metà disco), in un’aura di poetico e ingenuo dolore. Flea fa gli onori di casa spadroneggiando più che mai, effettivamente quasi tiranneggiando i timidi intermezzi di Josh (che comunque gliele canta, letteralmente, ad Anthony: i cori-accessorio sono un ricordo, il giovane ha una voce non indifferente, di una purezza lasciva che sfida la potenza materica di Kiedis).

Tutto cambia per restare uguale, ma teniamoli sotto controllo: sembrano talmente in buona fede, che probabilmente quando non avranno più niente da dire lasceranno il posto ad altri. Sempre che ci siano… degli “altri”.