We Have Band – Ternion

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Lui, lei, l’altro. Non è la sintesi di un film sentimentale, nè tantomeno di un film dei fratelli Vanzina. È la formazione dei We Have Band, composta dai coniugi londinesi Thomas e Dede Wegg-Prosser e dal “terzo incomodo” Darren Bancroft. I tre han dichiarato di essersi conosciuti in circostanze lavorative quando erano colleghi presso gli uffici della EMI a Londra e che da allora la loro unione è semplicemente artistica; ma chissà, questa situazione da triangolo potrebbe essere sfruttata in futuro per solleticare la morbosità del pubblico in periodi di scarso successo commerciale… sempre che il vero successo commerciale arrivi.

Intanto nel giro clubbettaro i tre si sono fatti abbastanza notare, e ora si ripropongono al pubblico con il loro secondo disco, Ternion, a due anni di distanza dal loro quasi omonimo disco d’esordio WHB (per i meno scaltri: sono le iniziali del nome della band). Descrivere il loro stile non è semplice, per usare l’ormai collaudato metodo tag a cui il web 2.0 ci ha ormai reso avvezzi si potrebbe descrivere mischiando a caso le parole dance electro funk rock synth dark. Pare però che i membri del gruppo siano allergici ad alcuni di questi termini, e l’unica etichetta che sembra piacer loro è quella, un po’ stravagante, di disco-rock trio.

Se invece non siete internauti navigati innanzitutto sapere che il gruppo si serve sia di strumenti analogici (basso e percussioni) che digitali (synth drum machines e ammennicoli vari) può aiutare. Come gruppi affini si potrebbero citare Bloc Party, gli LCD Soundsystem, o gli Hot Chip, ma anche questi nomi accostati a questo trio van presi con le molle; il loro primo disco forse aveva un’attitudine simile a quella di questi ultimi due gruppi, ossia più glitterosa e danzereccia, e in generale una maggiore leggerezza. Il punto di forza di questo gruppo in generale è la capacità di riuscire a dare una forma abbastanza melodica ai propri pezzi, nonostante le basi da dancefloor.

Sarà il cambio di produzione, sarà la crescita professionale e artistica, ma Ternion comincia ad allontanarsi un po’ da quegli schemi, arrivando a toccare punte più emotive e introspettive per quanto riguarda le parti cantate (l’apice si raggiunge in Tired of Running), sfruttando meglio a tale scopo le armonie vocali tra i due sposini WP (ad esempio in Visionary), ma lasciando sostanzialmente inalterati invece gli impianti ritmici rispetto al loro precedente lavoro. Qui e là c’è una spruzzata di nuove sonorità, un po’ più oscure (sentire l’introduttiva Shift) e sperimentali, almeno per i loro, anzi il loro precedente (tipo nell’intro di What’s mine, what’s yours). I tre arrivano anche a permettersi un pezzo “beat-less”, la conclusiva Pressure on, un pezzo onirico affidato principalmente alla voce di Dede.

In generale non un completo stravolgimento, ma un passo importante per questa band (che, non ce ne vogliano, si può ancora classificare come emergente) che nonostante qualche strascico stilistico dal loro precedente lavoro dimostra con questo disco voglia di crescere, per arrivare, magari, verso mete al di sopra delle aspettative…