Wild Nothing – Nocturne

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Edizione straordinaria: è in atto un complotto per riportarci dritti dentro il sogno dei poco favolosi anni ’80. Dalle prime agenzie pare si tratti di un progetto occulto a più mani e più teste che negli ultimi tempi sta accelerando il suo piano per la conquista. Già individuati i complici: XX, The Chromatics, gli altri Wild (Beasts), Beach House, gli altri Beach (Fossils), gli M83 prima della fase burina, la colonna sonora di Drive firmata da Cliff Martinez…tutti, chi più e chi meno, convinti che il suono del decennio sintetico non è poi così male se lo ascolti nel dormiveglia. Meglio se con la scusa dell’ipnagogico, che fa taanta tendenza.

Certo, per quelli che gli eighties li hanno vissuti in prima persona l’eventualità di un viaggio indietro nel tempo deve somigliare più a una specie di incubo breteastonellissiano che non a un “sogno”. Ma che ne può sapere uno come Jack Tatum, che di anni ne ha venti appena e la passione per new wave e synth l’ha coltivata a ritroso, chiuso dentro la propria cameretta. In un percorso parallelo a quello del quasi coetaneo Dylan Baldi, in arte Cloud Nothings, ha fatto seguire un’incisione con una band vera e propria al chiacchierato esordio suonato quasi in solitaria. Guadagnandoci. Un fiorire di tastiere, chitarre effettate e pedali flanger si libera dalle strutture danzereccie e immancabilmente tamarre dell’epoca per fare da trasognato contorno al cantato del leader. Due pezzi lo spiegano meglio degli altri: Paradise e The Blue Dress accennano entrambi un motivetto da stupidèra sul modello dei Cure più orecchiabili, ma poi si perdono in lunghe pause ad osservare l’orizzonte.

Rievocati in lontananza, così “trasognati” e sterilizzati da ogni rampantismo, gli ottanta cantati da Tatum sono una madeleine che anche può apprezzare anche chi è allergico al sintetico. Basta chiudere un occhio; o, meglio, tutti e due.