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2 Ottobre 2012 | Anti.com | Beth-Orton.net | ![]() |
A scorrere distrattamente la biografia di Beth Orton si rischia di inciampare nello stereotipo dell’artista banderuola, sballottata da un genere all’altro al seconda del mentore – immancabilmente maschio – di turno: i primi passi sotto la sigla Spill, con quello che poi sarebbe divenuto il suo compagno e principale sponsor William Orbit e un paio di comparsate nei lavori altrui (Chemical Brothers su tutti) prima di una carriera solista che tale non sarà, dato che la ritroviamo, disco dopo disco, affiancata al produttore Andrew Weatherall, alla da poco scomparsa voce del soul-folk Terry Callier, passando da Ryan Adams, un bis dei fratelli chimici e infine Jim O’ Rourke, dietro il mixer del penultimo lp. Detta così, il modello sembra quasi quello delle fanciulle emancipavano che, cinquant’anni fa, si affacciavano il jet-set del rock’n’roll in cerca di fortuna, non di rado imboccando la via delle lenzuola.
Sugaring Season arriva a raccontare una storia diversa, se non una donna diversa. Quinto album in ben sedici anni, sottratto alle dinamiche del mercato discografico e/o digitale per seguire un lento ciclo, possiamo dire, stagionale, dove le stagioni corrispondono a quelle della vita. Bene o male che riescano, ognuno dei capitoli firmati fino a qui segna una tappa diversa nell’esistenza di Beth, da cui i rapporti artistici e professionali in continua evoluzione.
La scelta di farne un disco sostanzialmente folk è un’altra dichiarazione di indipendenza pronunciata sottovoce: da un passato in costante contatto con trip hop ed elettronica e anche dall’ossessione di un’attualità che, evidentemente, non le appartiene. La cantautrice britannica ha preferito prendere lezioni (letteralmente) dal fu chitarrista dei Pentagle, Bert Jansch, e fare propria l’eredità del folk rock degli anni d’oro, senza scordare di dare il giusto peso alla tessitura ritmica. Candles è un omaggio a quella scuola, aggiornata ma senza ricorrere ad inserti elettronici; Magpie l’idea di canzone folk che usa l’ornitologia come metafora per i rapporti umani. Nulla in queste tracce suona particolarmente contemporaneo, ma nulla rischia di invecchiare troppo in fretta. La perduta arte del prendersi il proprio tempo.