Attitudine e Visual: Woodkid è un regista e il suo gusto estetico non poteva non concretarsi adeguatamente nella bellissima Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica di Roma. Sul palco, in modo perfettamente simmetrico, dietro Yoann Lemoine, situato in posizione centrale, vi erano due batteristi che nelle loro rullate parallele riportavano, nella freddezza dei movimenti meccanici e robotici, come cavalieri in marcia, l’epicità del disco (The thunder of the drums dictates citando Iron). Il tutto poi veniva accompagnato da giochi di luci esplodenti in reti intricate di coni luminosi: puro spettacolo per gli occhi. Forse a rendere ancora più particolare la realizzazione visiva del concerto, bisogna citare la presenza di un megaschermo (veramente mega!), dietro la band, dove, città, paesaggi in bianco e nero, e immagini poco identificabili prese da uno scenario fantastico, accompagnavano i balletti sinuosi, un po’ Eminem, un po’ Thom Yorke di Yoann, per l’occasione vestito tutto di nero, con un cappellino nero dei New York Yankees – tanto per ricordarci di quell’aspetto un po’ tamarro che caratterizza anche i vari barocchismi del suo disco.
Audio: L’audio era quasi impeccabile, suoni puliti, definiti, anche se, nelle esplosioni di archi campionati, il suono andava leggermente in saturazione. Ma comunque parliamo di un problema quasi impercettibile, soprattutto paragonando questo live agli altri ai quali ho assistito recentemente e dai quali mi ero abituato ad uscire con un orecchio mezzo distrutto. Del resto l’Auditorium ormai è divenuto una garanzia, sia per ciò che offre, sia per come cura le esibizioni che ospita.
Setlist: Dopo un intro maestoso, uno dei più bei momenti del concerto, si è definitivamente entrati nel viaggio iniziatico della musica di Woodkid, che ovviamente per tappe variate ha ripresentato tutto il suo esordio, riprendendo tra l’altro Brooklyn, brano presente solamente in un precedente Ep. E nel suo percorso è riuscito anche (gli elogi stasera si sprecano) nel valorizzare pezzi che sul disco erano quelli più deboli – relativamente – come Stabat Mater.
Momento migliore: Riguardo la setlist qui sopra, ho fatto riferimento a un viaggio iniziatico – viaggio della consacrazione della musica stessa, nuova eroina epica – e aggiungerei qui, catartico, purificatorio e liberatorio. Nel suo procedere tragico, tale percorso (che sia esso musicale o spirituale) prevede un apice, acme drammatica e fine, in questo caso identificabile con Run Boy Run. I batteristi fanno cenno al pubblico di alzarsi e ci siamo ritrovati tutti a saltare sotto il palco di un teatro per una decina di minuti, tra code infinite e un ritornello ripresentatosi più volte, lasciando alle poltrone rosse un mero ruolo ornamentale.
Pubblico: Il pubblico è stato magnifico: applausi, urla, un ragazzo ha anche regalato a Lemoine una corona dorata (presumo quella di The Other Side). Tutta la band si è sentita immediatamente a proprio agio nella città che Lemoine stesso ha confessato di adorare, forse anche più di Milano, ha detto con tono sarcastico, facendo riferimento all’odio tra le due capitali. Ah quasi dimenticavo, la sala era piena: sold out all’Auditorium, mica male!
Locura: “Io – ha detto a un tratto Lemoine – non conosco molte parole in italiano: so dire pasta, pizza e – con fare alla Guzzanti che imita Tremonti – porca troia”. Dieci minuti di applausi. Ah, ovviamente alla fine del concerto un mega “PORCA TROIA!” non se l’è risparmiato.
Conclusioni: Quanto mi stupì il disco così mi ha spiazzato la sua realizzazione live. In quanto esordiente, sinceramente mi aspettavo un pubblico piuttosto ridotto e freddo, assieme a una qualità esecutiva, da parte di Woodkid, scarsa a causa della poca esperienza fatta direttamente sul palco. Invece no, questo live è stato perfetto da ambedue le sue parti vive: pubblico e band. Un concerto caloroso, spettatori attenti, partecipi, e sempre pronti a dilungarsi in due minuti di applausi alla fine di ogni esecuzione; e Woodkid sempre pronto a donare qualcosa di unico attraverso la sua arte.