Apparat @ Hiroshima (Torino) – 24 Maggio 2013

apparatAttitudine e visuals: Erano almeno due le questioni (curiosità, in vero) sulle quali fare luce poste sopra il tavolo dell’Hiroshima Mon Amour alla vigilia del live-set di Apparat, insieme al tomo monolitico di “Guerra e Pace” firmato Leo Tolstoj. La prima: come si tradurrà sul palco di via Bossoli la pièce musicale orchestrata dal dj e producer tedesco pensata come “soundtrack” dell’interpretazione teatrale del celeberrimo romanzo russo?

La seconda: come reagirà il suo pubblico al netto cambio di rotta di “Krieg und Frieden (Music for theatre)” nel quale mr. Sasha Ring abbandona cantine “dancefloor oriented” in favore di droni allucinati (figli in questo caso degli “ambienti” costruiti da Brian Eno) e art-rock affetto da anemia elettronica (in direzione Liars e Sigur Ros)?
Audio:  inedita è la formula con quale Apparat si presenta on stage: non in solitaria chino sopra ad un pc da club delle meraviglie, come siamo abituati a vederlo immortalato, ma seduto alle prese con i ricami dilatati della chitarra o in piedi a deliziarci con un falsetto davvero impeccabile e – soprattutto- accompagnato da una band di tre elementi, efficaci sodali tuttofare tra cori, drumming, pianoforte e archi. Tutto calibrato fino all’ultimo beat, lisergico ed etereo quanto basta per stuzzicare le sinapsi psichedeliche. L’assetto è gestito egregiamente, senza sbavature di sorta ma anzi con la sensazione di (un pò) asettica chirurgia audio che il genere porta con sè.
Setlist: poco spazio al materiale “in voga” della produzione Apparat da nightclubbing sotto il cielo di Berlino. Sasha “plays Krieg und Frieden”, fino in fondo: stavolta la mente non va alle capitali elettroniche dove è accolto con tappeti rossi ma alle infinite distese russe che diventano proscenio dell’umanità tutta, dal romanzo di Tolstoj alla folla estatica di Torino.
Pubblico: già caldissima e numerosissima intorno alle 22 – stipata nella corte esterna dell’Hiroshima, l’audience raccoglie una buona fetta di pubblico indie, accasato nella terra di nessuno in cui il rock è un residuo millenario in un’atmosfera elettronica dai contorni indefiniti e a regnare – non inamovibile sul trono ma dinoccolato nei suoi passetti di danza – c’è sua Maestà Tom Yorke. La risposta – in termini di soldoni lasciati in cassa e scrosciar d’applausi – è ottima.
homepage_731
Momento migliore: non essendo facile “prendere a scompartimenti stagni” un live incentrato sulla stasi dronica a tinte opache e blocchi unitari, merita dare spazio ad un aspetto mai veramente secondario (con tanto di polemiche e dibattito aperto) per l’elettronica contemporanea: l’impatto visivo. I visuals di “Krieg und Frieden” hanno regalato qualcosa di davvero curioso al pubblico presente. “Eseguite” dal vivo e non semplice riproposizione di un video-tape, le immagini che scorrevano sullo schermo dietro alla band, erano il prodotto del lavoro combinato e combinatorio di due artisti all’opera su di un proiettore: le “diapositive materiche” create con l’ausilio di pezzi carta, polveri colorate ed utensili vari creavano suggestive tavolozze pittoriche che andavano ad interagire con la musica: è allora – de gustibus, ovviamente – ascoltare una “Violent Sky” pensando al muro infinito di colore firmato Rothko o al suprematismo di Malevic, piuttosto che rievocare attraverso i troncamenti di “K&F Thema” i tagli – anch’essi eseguiti “in presa diretta” con un taglierino! – di Lucio Fontana, sfocia deliziosamente nella performing artmoderna e nelle sue chiacchierate suggestioni multisensoriali. Se l’obiettivo era farci dimenticare di non essere seduti in un secolare teatro berlinese di fronte ad uno spettacolo del quale la musica dovrebbe solo accompagnare (ma anche “significare”) la rappresentazione visiva, Apparat l’ha centrato con gran classe.
Locura: Poco o nulla di baldanzoso. Tanto vale sviscerare una curiosità che mi ha strappato un sorriso: il fatto che, Apparat abbia portato a termine la gestazione di questo algido “Guerra e Pace” – immergendosi nelle pagine epiche di Tolstoj – durante un viaggio decisamente “poco allineato” con Madre Russia, nella lussureggiante… Thailandia!
12
Conclusioni: Quanto meno ambigua la figura di Apparat nel pantheon dei “ricercatori elettronici” europei. Mai veramente incisivo nel mare magnum dei dj, laddove il successo e le collaborazioni più-che-prestigiose non si accompagnano in definitiva da una visione davvero a fuoco della propria cifra stilistica. Apparat non è Paul Kalkbrenner (e certo) ma nemmeno Tom Yorke (ok), nonostante la lodevole volontà di avvicinarsi a quella pan-elettronica che grazie ai prodigi della tecnica viaggia in maniera obliqua dalla musica classica (veder il lavoro sugli archi, uno struggenterequiem for a drone, a tratti) alle avanguardie rock. Ma allora chi è Apparat, lo spilungone che cita l’opera “spaziale” di Eno e canta con l’indolenza da anti-eroe dei Radiohead? Il concerto dell’Hiroshima Mon Amour mantiene viva la voglia di scoprirlo. Sasha, non farci aspettare troppo.