Iggy and the Stooges – Ready to Die

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Non si trattasse di Iggy direi: ”Paraculo”. Del resto, un iguana difficilmente abbassa la cresta, persino al cospetto dello scorrere del tempo. A sessantasei anni fare il duro e risultare credibile è un’impresa davvero ardua, soprattutto per chi nella sua indiscutibile coerenza mostra i muscoli seppur raggrinziti. Da questo punto di vista assumono contorni meno foschi persino le incursioni nel cantautorato Europeo che tanto facero storcere il naso ai puristi – “Preliminaries”, “Apres” Ndr -, ora catalogabili come tentativi maldestri di poliedricità senile. Iggy vuole esserci ad ogni costo, finché il fisico tiene e le corde vocali permettono il minimo sindacale. Folle, il facile parallelismo con l’ultimo Bowie che produsse l’ultimo grandioso albo col suddetto moniker, – ma le cui analogie finiscono dove comincia la profondità del duca bianco Ndr-. Inutile cercare di andare oltre il chitarrismo di Williamson capace d’impreziosisce gli episodi più diretti – Burn, Gun, Dirty Deal – nella speranza di trovare quei fasti che oramai appartengono ad un lontano passato. Inutile continuare ad abusare di un trade mark evocativo (Stooges), quando a conti fatti ci si trova costantemente a che fare con l’ennesimo album del James Newell Ostreberg solista, tenero, fantastico vecchietto dal passato glorioso. Quindi per favore basta Iggy, slaccia la cintura dinamitarda e vieni con noi a bere, poi raccontaci le fantastiche avventure dell’eroe di Detroit, quelle del “Forgotten boy”, di quando sommergeva di napalm e sudore il suo pubblico in adorazione. Preferiamo così, davvero.

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