Deerhunter @ Bolognetti Rock 2013 – 26 Giugno 2013

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ATTITUDINE E VISUAL: Poco più di un’ora di concerto per il ritorno dei Deerhunter nel capoluogo emiliano. Ad ospitare l’evento c’è il cortile interno del vicolo Bolognetti, ormai location di routine per la stagione estiva del Covo. C’è giusto il tempo di una birra e di uno sguardo alle gigantografie appese alle pareti di Morrisey, David Bowie, Ian Curtis e altri miti anni ’80, prima che la band di Atlanta si presenti sul palco. Bradford Cox porta una parrucca nera su una camicia a righe come se fosse la cosa più normale del mondo ed è l’unico ad aver voglia di scherzare, gli altri 4 membri  mantengono un profilo quanto mai sobrio durante tutto il concerto. Poco male perchè l’esile cantante di estro e personalità ne ha da vendere, e vi assicuro che a fine serata nessuno si sarà chiesto “perchè gli altri non hanno parlato?”. Quanto al cortile del Bolognetti, è decisamente adatto alla tipologia di concerto, coniuga intimità e comodità unite all’esperienza maturata dall’organizzazione del Covo. Niente da dire, complimenti.

AUDIO: Appena salito sul palco, Bradford fa notare al pubblico il rumore proveniente dalle strade  vicine e invita il pubblico ad avvicinarsi di più al palco “to block the sound”. A dir la verità i rumori esterni non inficiano particolarmente la qualità del suono che, trattandosi di un concerto all’aperto, è ottima. Ma Bradford è un perfezionista, meglio assecondarlo, nessuno ha intenzione di sorbirsi un’ora di My Sharona.

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SETLIST: Il concerto è inizia con Neon Junkyard e termina con Monomania, nel mezzo altri pezzi dall’omonimo ultimo LP  più il “blocco” dedicato a Halcyon Digest. Non c’è spazio, invece, per gli album precedenti, peccato.

LOCURA: Se c’è Bradford Cox è assicurata. Il cantante sale sul palco raccontando di essere caduto ubriaco nel bagno, poi se la prende con il solito “sbirciatore” di scalette: “You can take the setlist if you want” e “Ok, next song is called Nothing ever happened”, mentre immediatamente parte Memory Boy fra l’ilarità generale. Divertimento a parte, il concerto si mantiene tranquillo finchè qualcuno dal pubblico non urla: “Monomania”, pronta la risposta del cantante: “Yes, we are going to play the new shit” e iniziano le 3 canzoni finali tratte da Monomania. Pezzi nuovi come Back to the middle hanno una carica particolare, il pubblico se ne accorge e qualcuno accenna qualche saltello.

MOMENTO MIGLIORE: Dopo la seconda canzone il gruppo esegue Don’t Cry seguita da Revival e Desire Lines con Lockett Pundt alla voce, la cui bravura e importanza è troppo spesso oscurata dal talento di quel ragazzo magrolino che gli suona accanto. E’ un trittico meraviglioso, un monolite imprescindibile per l’indie rock a cavallo col decennio passato, suonato fra l’acclamazione del pubblico. Ti giri, guardi il poster di Ian Curtis, e pensi che forse essere nato nell’89 non sia poi così orribile.

PUBBLICO: Ordinario. C’è l’americana in espadrillas, il tizio con la maglietta degli Slowdive, e qualche indie-rocker più attempato. Pochi i veri fan, la curiosità prevale decisamente sul fanatismo.

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CONCLUSIONI: il concerto è un continuo oscillare fra l’attitudine psych-pop di Halcyon Digest e la nuova veste Garage Punk di Monomamia. La differenza fra le due c’è, si nota e non potrebbe essere altrimenti. I brani dell’ultimo disco impallidiscono se accostati a Memory Boy, Revival ecc, non è colpa loro, è Halcyon Digest il capolavoro. Unica pecca è la durata: la delusione si fa tangibile quando un addetto fa cenno alla band che mancano solo 10 minuti. Sarebbe stato bello avere il tempo per Cover me(slowly) come intro o in generale per suonare i classici più datati (vedi l’annunciata Nothing ever happened). Non c’è tempo  neanche per i consueti bis e, che la colpa sia dell’organizzazione o della solita ordinanza comunale, resta comunque l’amaro in bocca. Quello a cui ho assistito, quindi, è stato uno spettacolo striminzito, a presentazione di un album transitorio, eppure un gran concerto. Non oso immaginare cosa avrebbero potuto fare 3 anni fa.