Money – The Shadow Of Heaven

Acquista: Voto: (da 1 a 5)

Sai, no, quelle cose problematiche del mondo tipo la vita, la morte, l’amore, la noia, che staremmo tutti meglio senza se non fosse che, a volte, si riversano in dischi come The Shadow of Heaven, e allora è un po’ meglio che ci siano. I M O N E Y sono un quartetto di Manchester che presenta tutti i sintomi di quella che taluni chiamano m-anhedonia, ossia quel talento tutto mancuniano di crogiolarsi nell’assenza di piacere, che porta a dire cose tipo “Manchester è il paradiso”, perché “il paradiso è il luogo in cui le persone non possono avere quello che vogliono. È quando le persone ottengono quello che vogliono che cominciano a creare l’inferno”. Questa è solo una delle tante eversioni al senso comune che il cantante della band, Jamie Lee, profonde nelle sue grandiose interviste filosofiche, delle quali cerca di smontare la spocchia con altrettanto grandiose interviste piuttosto demenziali, e quindi non si può non volergli bene.

Da un seguace di Rilke che suona in un gruppo che prende il nome da un verso di Kozlov sulla viltà del denaro, del resto, non ci si possono aspettare esternazioni da ciavatte hipster. E poi c’è la musica: essendo solo uno dei mezzi con cui i M O N E Y esprimono la loro artisticità (insieme alla fotografia, a cui rendono omaggio nei loro live multimediali), non può essere considerata indipendentemente da tutto ciò che sono. Ma l’accoppiata vincente Reverb+Delay, unita a sonorità tra WU LYF, Cure e orizzonti islandesi non lascia indifferenti.

Lee è un grande estimatore di inni sacri, e lo si sente soprattutto in ‘So long (God is dead)‘, brano di apertura che è solo un assaggio della preziosità di questo disco, più avanti dimostrata dal perfetto singolo ‘Bluebell Fields‘, che se fosse stato partorito dai Coldplay (e fortunatamente NON è così) si sentirebbe già ovunque. E poi c’è ‘Cold Water‘, che con le sue modulazioni patemiche e l’andamento da marcia militare devastato da erranti melodie notturne è forse il pezzo migliore dell’album. E poi c’è la voce di Jamie Lee, bianca o nera all’occorrenza, apprezzabile nei brani in cui è accompagnata solo dal piano (‘Goodnight London‘) o in ‘Cruelty of Godliness‘, duetto con una sempre effettata chitarra, insinuante quanto spirituale. Supremo e infimo si incontrano nei M O N E Y, amanti del fallimento e della mediocrità come delle più elevate sostanze umane. Verrebbe da appassionarsi a quello che hanno da dire, ma magari non ne sarebbero neanche contenti.

[schema type=”review” rev_name=”Money – The Shadow Of Heaven” author=”Sara Manini” user_review=”4″ min_review=”1″ max_review=”5″ ]