Anagogia: “Perché altrimenti non avrebbe senso chiamarla musica”

Dalla gabbia di MTV Spit ad un contratto con la Warner Music, che si è offerta di pubblicare il suo primo album lasciandolo inalterato, il 2013 è stato un anno segnato da rapidi cambiamenti per Anagogia. Il 2014 ci dirà se il giovane rapper, originario della provincia ferrarese, sarà in grado di farsi spazio in un ambiente musicale ricco di competizione. A poche settimane dal debutto ufficiale, abbiamo cercato attraverso un’intervista di fare luce sul suo background musicale e personale, analizzando i motivi per cui valga la pena di tenergli gli occhi puntati addosso.

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Sei appassionato di rap fin da molto giovane, quando hai capito che era il momento di fare il passo successivo e in che modo questa passione ha dato frutto a lavori veri e propri?
Non c’è stato un momento vero e proprio in cui mi sono sentito di dire “okay, ora sono pronto al confronto con il mondo”. Diciamo che è capitato un po’ casualmente e più che altro per la spinta da parte degli amici nell’incitarmi a fare queste cose, perché per via di una bassa autostima non riesco a percepire appieno ciò che produco io stesso. Gli amici che mi dicevano “guarda che hai talento, guarda che secondo me dovresti buttarti” sono stati la spinta finale per andare al confronto con altre persone.

Come ti sei avvicinato al mondo delle produzioni?
Al mondo delle produzioni mi ci sono avvicinato perché ho iniziato, come molti, a scrivere testi su pezzi americani già editi, però vedevo che il rap italiano funzionava tutto sulle basi di producer italiani, io purtroppo non avevo troppe conoscenze in fatto di producer nell’ambiente e quindi ho deciso di darmi al “fai da te”, colmando dei vuoti che magari sarebbero rimasti anche tuttora.

Quali sono le tue influenze come producer?
Penso che un producer debba affacciarsi un po’ su tutti i generi musicali per ricercare la completezza in ciò che fa, perché comunque in ogni genere chi si butta nello specifico mostra carenze in alcune cose; quindi io mi sono buttato su un po’ tutti i generi per cercare di capire quale fosse la giusta miscela tra le cose: ad esempio se dovevo fare un pezzo che ricordasse il rap in quanto tale io mi ispiravo molto a sample jazz, soul e funk. Diversamente, se dovevo fare un pezzo che mi desse le emozioni di qualcosa che suonasse totalmente mio, mi buttavo più sulla dubstep e l’elettronica, oppure sulla musica classica perché comunque il pianoforte e il violino sono due strumenti che, oltre a legare benissimo assieme, anche presi come singolo danno un sacco di emozioni. Quindi mi sono buttato un po’ su tutti quanti i generi per cercare di rendere non solo con le parole che vengono scritte l’idea delle emozioni che si provano.

Nel disco, quasi interamente prodotto da te, ci saranno ospiti al microfono oltre Ensi? Come sono nate queste collaborazioni?
Oltre a Ensi ci saranno altri artisti non solo al microfono e alle produzioni, infatti è già uscito un altro estratto di Pillole con Rise Beatbox in cui abbiamo riportato quello che magari è un po’ il principio basilare del rap: due rime a tempo su un beat fatto da un beatboxer. Ci saranno altri artisti al microfono, come Raige, fratello di Ensi. Sono tutte collaborazioni nate, oltre che per stima reciproca, proprio per tendenze musicali mie: ero molto lanciato sul loro tipo di rap, con una certa impronta che mi avevano lasciato loro, e comunque erano artisti con cui ho sempre desiderato collaborare e mi sono ritrovato fortunatamente a poterlo fare.

Molti artisti di rilievo in Italia già tessono le tue lodi. Quanto credi sia importante avere una scena unita e improntata alla collaborazione?
Secondo me tanto, perché comunque stiamo portando in giro il nome dell’hip-hop che alla fine è una cultura grandissima. Spesso questo nome viene infangato, nel senso che molti ne parlano senza sapere che cosa dicono e il fatto di avere una scena unita secondo me è quello che l’hip-hop vuole portare, perché comporta l’unione, il collaborare, il darsi una mano. Quindi avere una scena unita non solo darebbe una bella immagine, ma darebbe proprio l’immagine di quello che è e dovrebbe essere l’hip-hop.

Tu stesso hai partecipato a Spit, hai prodotto quasi da solo il tuo disco e stai facendo passi da gigante molto velocemente. Credi che la possibilità di produrre musica così facilmente e avere tante piattaforme di visibilità immediata possa portare ad una saturazione della scena?
Fare un percorso veloce è qualcosa di molto malvisto nell’ambiente del rap, perché secondo me il rap si sta dividendo più che unendo e la cosa sta creando un sacco di malintesi: ad esempio ho sentito un sacco di persone dire “ora che hai firmato in major chissà quanto sei cambiato” e cose del genere. In realtà no, perché poi il disco è stato presentato in major così com’è e la major l’ha accettato. Quindi non vedo saturazione in quest’ambito e, anzi, bisognerebbe trarla come un vantaggio.

Pillole era già pronto prima che firmassi con la Warner, ma è stato ri-registrato al Press Rewind, lo studio di Bassi Maestro. Nonostante le tue scelte compositive e liriche siano rimaste invariate, credi sia cambiato qualcosa rispetto al primo draft del disco?
Ha avuto un miglioramento a livello qualitativo, che è ciò a cui puntavo, senza variare quelle che erano le tematiche oppure la sonorità del disco, perché comunque le produzioni sono quasi totalmente curate da me e il disco è quello che era inizialmente. Il fatto di averlo registrato da Bassi Maestro per scelta mia forse mi ha allargato un po’ la disponibilità di ascolto, perché magari facendo la mossa di firmare in major la gente non sa cosa aspettarsi, però avendo fatto la scelta di registrarlo da Bassi Maestro molte persone si sono ricredute su ciò che avevano detto di me all’inizio.

In Panic Room fai riferimento a Serious Sam. Sei appassionato di videogiochi? Che ruolo hanno avuto nella tua formazione?
“Appassionato” forse no, però diciamo che all’inizio della mia vita i videogiochi sono stati molto presenti. Quand’ero ragazzino ero veramente preso da certe cose, poi col tempo le ho perse perché la passione per la musica ha sovrastato l’euforia del videogioco e del tempo passato davanti ad una televisione con un controller in mano. Non dico che mi hanno cresciuto, perché alla fine non è vero, però ci ho passato un sacco di tempo coi videogiochi e alcuni mi hanno anche lasciato qualcosa.

Oltre a Pillole è prossima l’uscita di Memento EP. In cosa differiranno le tracce dei due progetti?
Memento EP è un progetto all’interno del quale ho inserito sette tracce, una prodotta da me e il resto affidate a vari producer italiani, e praticamente sarà un assaggio agli ascoltatori perché non volevo lasciare troppi tempi morti da Spit e da Identity EP fino ad arrivare al disco.

Progetti per il futuro? Tour?
Per ora non ci sono vere e proprie date considerate come “tour”, attendiamo che esca il disco prima di portare i pezzi live, però ho già qualche data segnata, ad esempio il 20 dicembre sono al Leoncavallo di Milano in apertura a Fritz Da Cat, Ensi e Noyz Narcos e successivamente sempre in apertura a loro sarò all’AudioDrome di Torino. Dopo l’uscita dell’album ci saranno sicuramente date chiuse in cui porterò le tracce del disco.

C’è qualcosa in particolare che vuoi trasferire all’ascoltatore con la tua musica?
Io vorrei che la gente iniziasse a dare di più alla musica il valore che merita e meno al personaggio il valore che gli viene attribuito ultimamente. Quello vorrei che succedesse nella musica, perché altrimenti non avrebbe senso chiamarla musica