Nasce con “Now That It’s The Opposite, It’s Twice Upon A Time” (2010) e prosegue con “Moondog Mask” (2013) il viaggio musicale degli Hobocombo – Andrea Belfi (Rosolina Mar, Mike Watt, David Grubbs), alla battreria e alla voce, Rocco Marchi (Mariposa) alla chitarra, synth e voce e Francesca Baccolini al contrabbasso e voce. Riproponendo le visioni sonore del musicista e “vichingo” di strada Louis Thomas Hardin, in arte Moondog, e attraversando una immaginaria quanto reale e contemporanea 6th Avenue, centro nevralgico e operativo della sua produzione creativa, gli Hobocombo mescolano ritmi e culture, in una continua scoperta di sonorità sempre differenti, di un suono che diviene “antropologia musicale” di un mondo variegato fatto di universi vicini e lontani, passato e presente, immersi tra realtà tangibili e fantastica immaginazione. In questa intervista gli Hobocombo ci svelano tutti i retroscena del loro “Magnetic Sound”.
La nascita degli Hobocombo ha origine ed evoluzione nella figura di Moondog, come mai la vostra scelta è ricaduta proprio su di lui?
Gli Hobocombo nascono nella primavera del 2010, inizialmente per un evento spot all’interno delcartellone Verona Risuona, un festival che si svolge nelle strade e in diversi luoghi urbani della città. La scelta è caduta proprio sul Vichingo della 6th Avenue proprio perché era un musicista di strada e ci è sembrato stimolante restituire le sue composizioni alla strada e ai passanti distratti. Travolti dal fascino della sua musica, un mese dopo stavamo già registrando il nostro primo disco “Now That It’s The Opposite, It’s Twice Upon A Time” (Trovarobato Parade – 2010).
The Magnetic Sound Of Hobocombo… ci svelate i retroscena “magnetici” del vostro sound? Come definireste la vostra musica?
Rileggere le composizioni di un altro musicista e interiorizzarne il linguaggio non è mai semplice. Hobocombo però ha trovato fin da subito la sua strada approfittando forse dei limiti dati dagli strumenti a disposizione (molti brani di Moondog sono composti per orchestra, altri invece sonocomposizioni brevissime per sole voci) così si è trattato di procedere nella doppia direzione, diridurre le parti, cogliendo l’essenziale, o di espandere quello che era solo un bozzetto,scegliendo spesso soluzioni impreviste e coraggiose. Ne è risultato il nostro sound, forse un melting pot ancor più eccentrico, se possibile, dell’originale. Le registrazioni del nuovo album sono cominciate a Berlino nell’estate del 2011, sono proseguite in vari luoghi fra Italia e Germania, si sono concluse nuovamente a Berlino. Questo ci ha consentito di lavorare con calma e serenità, di lasciar sedimentare le esperienze che facevamo,di sperimentare e di scegliere. E quindi di unire pezzi scritti sul Mar Baltico con materialid’archivio degli anni ’60, composizioni di Moondog con brani nostri.
Moondog, “Il Vichingo della 6th Avenue”, ha rappresentato l’emblema della vita e della figura del musicista di strada. Quanto c’è della dimensione della strada nel vostro modo di approcciarvi alla quotidianità e a tutto ciò che è musica?
Sicuramente l’essere musicisti sempre in marcia, a confronto con la tanta musica che ci circonda. E la ricerca di un suono urbano, brulicante, contemporaneo.
“Moondog Mask” è una riflessione sull’esotico che è “immaginazione”, in che modo esotico e immaginazione si fondono nell’album?
La musica cosiddetta Exotica, nata negli Stati Uniti a cavallo tra gli anni 50 e 60, viene definita dal capostipite del genere Martin Denny come “una combinazione di Oceania e oriente […] quello che, secondo l’immaginazione di molte persone, sarebbero le isole […] è tuttavia pura fantasia”.Moondog Mask contiene in sé numerose citazioni a mondi musicali e culturali diversi, sia per quanto riguarda la musica (ritmi dei nativi americani, registrazioni sul campo di musica popolare, contrappunto barocco europeo, i boogaloo, i flussi sonori infiniti caratteristici delle culture orientali) che la strumentazione (steel drums, marimba, percussioni sudamericane, flauti).Il lavoro del musicista è proprio quello di ricombinarle: costruire relazioni, immaginare, creare ciò che non esiste.
La cover dell’album è sicuramente interessante. Come nasce e quali significati nasconde? Potrebbe forse rappresentare una vostra personale interpretazione del mito norreno del dio Thor, tanto caro anche a Moondog?
La copertina raffigura proprio Moondog, in una nostra interpretazione del ritratto che compare sulla cover del disco “Moondog 2” (Columbia, 1971). La maschera evoca un immaginario rituale arcaico dove la mitologia nordica, cui si ispirava Moondog, si confonde con i tessuti wax africani.
All’album è stata affiancata anche una guida all’ascolto dei brani (A Guide To The Magnetic Sound). Come mai questa decisione?
Ci sembrava importante poter parlare di questo disco così denso in prima persona, poter fare daciceroni all’interno di una raccolta di suoni che abbiamo elaborato per due anni.Dipanare la matassa del processo creativo è stato terapeutico oltre che necessario!
Nell’album compaiono come ospiti due musicisti berlinesi di area “echtzeitmusik” qualiNils Ostendorf e Simon James Phillips. Come è nata la collaborazione con loro?
Siamo entrati in contatto con Nils e Simon frequentando la scena sperimentale berlinese, dove peraltro la musica di Moondog è conosciuta. Su Desert Boogaloo ci mancava proprio quel timbro mariachi che solo una tromba con la sordina poteva restituirci. Il tocco delicato delle dita di Simon sul suo piano a coda ci hanno dato invece alcuni suoni puramente classici che mancavano all’album.
Il mastering è invece stato affidato a Doug Henderson. Come siete entrati in contatto con lui?
È stato David Grubbs, con cui Andrea ha un trio assieme a Stefano Pilia, a suggerirci di affidare la masterizzazione a Doug Henderson. Doug oltre che un celebre tecnico (ha persino vinto un Mercury per il mix di I Am a Bird Now di Antony and the Johnsons) è anche un sound artist e un compositore riconosciuto a livello internazionale (rappresentato tra l’altro dalla galleria di un italiano, Mario Mazzoli) e ci è parso avesse la giusta sensibilità e attitudine per lavorare sulnostro materiale.Abbiamo lavorato insieme per un mese, andando avanti e indietro dal suo studio alla nostra“casa – studio” e valutando insieme il lavoro che c’era da fare su ogni brano. Dal punto di vista tecnico possiamo dire che Doug ci ha assistito non solo nel master ma anche e soprattutto nella produzione del suono del disco.
Come è nata la scelta di inserire la rielaborazione del brano East Timor di Robert Wyatt nell’album?
L’intuizione originaria non fu nostra. Durante un’intervista in un programma radiofonico legato almondo di Rock in Opposition, il conduttore mise in relazione una nostra rilettura di un brano di Moondog a un disco di Wyatt. La sua intuizione era che la miscela delle nostre tre voci suggerisse in qualche modo il timbro di Wyatt. La sera stessa ci riascoltammo tutto Old Rottenhat, decidendo da subito che il tassello mancante per la costruzione del disco fosse East Timor, che è ancora il nostro immaginario mondo exotico a un luogo reale e a un fatto drammatico.Quel conduttore purtroppo è scomparso qualche giorno fa. Non era solo un conduttore, ma anche un compagno, un agitatore politico e culturale, un amico. Permetteteci quindi di ricordarlo anche qui. Ciao Pezzinga!
Theme and Variations è una fusione fra Moondog, sintetizzatori e launeddas sarde. Come nasce un brano del genere?
Nasce nel 2012 con “Witch of Endor”, un radiodramma su Moondog che ci era stato commissionato da Epsilonia, un programma sulla musica sperimentale trasmesso da Radio Libertaire di Parigi.La sfida era di parlare di Moondog senza le parole, così abbiamo allargato il paesaggio sonoro arrivando a fondere i fieldrecordings di Manhattan con la Sardegna rurale delle launeddas e la Berlino dei synth modulari.
Pensate inoltre che la conservazione della cultura popolare e lo studio etnomusicologico siano importanti per scoprire e valorizzare l’identità musicale stessa di un individuo?
Noi siamo dei musicisti affamati di linguaggi pop in ogni sua forma e non degli storici o antropologi, ma ogni processo creativo si nutre di ciò che é stato, e la propria identità si costruisce proprio a partire da queste relazioni. Naturalmente non è necessario essere sardi perinteriorizzare il mondo disegnato dalle launeddas: è sufficiente voler e saper ascoltare. Per questo siamo infinitamente grati a tutti i Roberto Leydi e Alan Lomax del passato e del presente.
In Canon #6 (vivace) compare anche la trimba, parlateci un po’ della genesi e dei significati di questo brano dalle “visioni orientali”.
Questo canone è in origine una composizione di Moondog per piano solo. Per seguire il processo di trasformazione musicale dei brani su cui mettiamo le mani, l’operazione è, in questocaso, molto semplice: il pianoforte è stato sostituito da sintetizzatori à la Wendy Carlos ed è stata aggiunta un trimba (una coppia di tamburi triangolari messi a punto da Moondog). La “reazione esotica” in questo caso è ottenuta mescolando un suono moderno (e contemporaneo in epoca di infiniti revivalismi) e un suono contemporaneo (ma dalle reminiscenze arcaiche).
L’album fonde frammenti sonori variegati. Credete quindi che sia possibile mescolare linguaggi musicali molto differenti tra loro?
Dipende dal progetto che si ha in mente. Nel nostro caso mescolare vari generi musicali partendo dal materiale Moondogghiano è stato piuttosto naturale, e ci ha portato a un suono piuttosto singolare.Esistono, e sono esistiti, esempi di terribile world music (solo la parola fa venire in mente colletti bianchi nei rampanti ‘80 alla ricerca di ulteriori opportunità economiche) che cercano di forzare la mano sul mettere assieme soluzioni timbriche moderne a musica “tradizionale”, e questo non vale solo per l’esotico mondo africano.Esistono però esempi di musica contemporanea dove il mescolare generi musicali e culturali porta a suoni magici, come nel caso, per citare solo alcuni nomi di punta, di Jeri-Jeri, Tinariwen, King Sunny Adè, Konono n#1, Staff Benda Bilili, etc. che in questo caso sono riusciti a portare l’esotico di molte parti del continente africano in occidente in maniera interessante e non banale.
È da poco partita la distribuzione europea, con Broken Silence, del vostro album. Quali sono le vostre aspettative e i vostri prossimi progetti?
Il disco sta avendo una buona risonanza in Europa, in particolare nei paesi germanofoni. La presentazione europea del disco all’HAU di Berlino, all’interno del CTM Festival, è stata un successo superiore alle aspettative, così come il concerto alla Sala Apolo di Barcellona di qualche giorno fa. Il tour vero e proprio è in arrivo per l’estate. In programma Germania, Belgio, Francia, Lussemburgo, Svizzera e Italia.