L’ACCUSA
P.M. Sara Manini
Vostro onore, non vorrei infierire sul soggetto in questione, ma davvero stiamo discutendo della validità di un disco di un tizio che definisce autonomamente la sua produzione artistica come “canzoni d’amore e di merda dalla provincia”…? Cioè, siamo sicuri che non preferiamo passare 10 minuti a tagliarci le unghie dei piedi? Del resto, già abbiamo speso un pomeriggio ad imparanoiarci ascoltando questo Costellazioni, arrovellandoci per capire perché tutti continuino ad esaltare l’opera di Brondi, come mai tanti artisti indipendenti italiani continuino a collaborare con lui (tra cui Dragogna dei Ministri, che per quest’ultimo capopopolavoro ha aiutato il buon Vasco a trovare una rima per “fenilchetonuria post-fordista”). La risposta l’abbiamo trovata nel furbesco attingere dall'(ipercodificato) immaginario cantautoriale italiano con l’aggiunta di parecchia disgrazia finto-quartostatista da Premio Strega che Le Luci etc. ha scelto come marc(h)io di fabbrica: ovvio che poi, anche se ti fa schifo, sei costretto a dire che è imprescindibile per non sembrare una ciabatta insensibile. Dunque, noi non ci siamo lasciati impressionare dal languido sfacelo di “Le ragazze stanno bene”, né tanto meno dal generale clima piattamente alternativo che pervade Costellazioni: saremo rozzi e incivili, ma preferiamo la merda autentica.
LA DIFESA
Avv. Giorgio Papitto
Il progetto Le Luci della Centrale Elettrica è un’espressione artistica che, se prima vedevamo perfettamente incastrata in una poetica post-apocalittica da anni zero, ora seguiamo con interesse in questo nuovo decennio, in un continuum creativo coerente, non ripetitivo: attenzione. Mentre nel resto d’Italia si continua a seguire un’impronta narrativa slanciata su un modello cantautoriale alla De André, ormai – con decisa rassegnazione – fonte d’ispirazione consumata al filtro, Vasco Brondi propone una poesia che è decisamente americana e al contempo espressionista, esplosiva. Non lo definirei un “furbesco attingere”, quanto un “negare”: il rimando c’è, lo si coglie distintamente. Ci deve essere la cenere, se vi è una fiamma a bruciare; esattamente come i Rolling Stones si perdono distorti nell’opera dei Faust.
Sostengo sia necessaria una certa predisposizione alla caoticità per saper districare il reticolato di idee, lampi creativi e sfumature suscitate dalle disordinate parole di Brondi e dai suoi arrangiamenti, che ora si fanno meno scarni, meno minimali: giungono a dare un equilibrato sostegno al tutto e ad avere una propria valenza. La spettacolarità, ad ogni modo, permane impressa nelle parole: un flusso copioso di sensazioni fortissime, estreme, di racconti lontani nonché scollegati, rimandanti a colori aciduli e luminosi scorci di vita, adolescenziale e non.
Costellazioni è la riesumazione di un immaginario poetico represso, attraverso fragili e surreali intromissioni liriche, spesso provinciali, più precisamente stellari. Un disco importante: signori della corte, questo è tutto, ed è tanto.
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