Zola Jesus – Taiga

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È la musica più accessibile che abbia mai fatto, ma anche la più seria e appassionata. Ho dato tutto per questo disco, più che mai.

Taiga, ovvero il brodo primordiale – che fa rima con boreale – della rinascita. Infatti il nome che porta quest’ultimo album della nostra carissima Zola Jesus è un termine russo che sta ad indicare – a livello semanticamente spicciolo – la foresta boreale. Ora però decostruiamolo su due livelli: provenienza e significato. La Russia, oltre ad aver dato origine geografica a questo termine, è anche la patria, seppur dimenticata – o perlomeno abbandonata -, della nostra cantautrice, che infatti porta il nome di Nika Roza Danilov: primo ritorno, prima rinascita.

In secondo luogo, perché chiamare un disco Foresta boreale? Ci risponde Zola stessa: [Questa] rappresenta un mondo inesplorato e ferale, che potrebbe felicemente esistere senza di noi. Quindi, secondo luogo della rinascita, secondo luogo della ricerca. E infine, terzo elemento della rinascita: nuova etichetta discografica. Infatti, ora a rilanciare questa giovane statunitense, appena venticinquenne, ci pensa la Mute Records. Tre fattori di rinascita segnano un punto di non ritorno, il passaggio a qualcosa di definitivamente diverso: ora bisogna solamente vedere se Taiga è un’ennesima espressione stupefacente di un deprimente declino scintillante.

Partendo da considerazioni prive di base empirica, solamente speculativa, tutto ci farebbe pensare a un disco personale, intimo, una Lykke Li leggermente più gotica e orchestrale, magari; invece no, Zola ci mostra un’altra personalità: che non è quella della maturità (o se lo è, questa ci si presenta in una forma impura), ma piuttosto dell’infanzia, dell’imprudenza. C’è una Nika che ancora non conosceva Émile Zola, e Gesù Cristo era – al tempo – solo una roba da catechismo; gli idoli sono le Spice Girls, Britney Spears e Madonna: Spice Madonna, piuttosto; un essere multiforme che solo in rarissimi momenti diventa davvero degno d’interesse. Nail da questo punto di vista è l’unico pezzo completamente meritevole: per il fatto che sembra essere una reinterpretazione in chiave Versions di una hit dance-pop. 

Non fraintendiamoci: non si sta dicendo che tra un mese vedremo su MTV il prossimo singolo di Zola, con tanto di video in stile Anaconda. Ci sembra solamente che Taiga rappresenti una forte lotta interna, un meccanismo inceppato che sforza le proprie ruote di carica: la pretenziosa ambizione di voler far un qualcosa di grosso e memorabile, che entra in conflitto con una tradizione appena trascorsa che è stata quasi esclusivamente intimista, gotica, noise. Non che sempre il memorabile vada in conflitto l’intimismo: St. Vincent sta qui a dimostrarcelo (anche lei tra l’altro con una rinascita, visto che il nome del nuovo album si identifica con quello dell’artista, a segnare un nuovo inizio; come fecero a loro tempo gli Interpol). Ecco la differenza ironicamente sta qui: una ha deciso di spacciarsi per messia, l’altra semplicemente per santo; la prima si sente in dovere di portare un messaggio che sia grandioso, universale; l’altra si bea di quanto il Cielo le ha già donato.
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