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14 Ottobre 2014 | Kobalt/Lilac | iamkele.com |
È quasi giorno. In giro non c’è un’anima. A parte la mia. Al solito errante. Ma non importa. “Solo me ne vò per la città”. E per le sue periferie. Ad un tratto noto l’insegna di un club: “Trick”, come il nuovo album di Kele Okereke. Oppure come Tricky, ma con un cromosoma in meno. La musica arriva fino al marciapiede. Ingannato dalle sirene, mi trovo ad entrare. Fasci di luce rosseggiano intorno. Infondo alla sala, vicino al bancone, c’è un tipo stravaccato sul divano. Un divano di pelle scura, come la sua.
Un attimo, è proprio lui. Il cantante dei Bloc Party. Il suo volto è indecifrabile. Non c’è nessun altro, oltre a noi due. Mi ignora comunque.
Raggiungo la consolle. Sullo schermo del pc vedo una tracklist. E’ quella di “Trick”. La traccia numero uno s’intitola “First impressions”. Vi esterno le mie prime impressioni. Ah ah. Bazinga. L’introduzione ci svela, in appena una manciata di secondi, quale sarà il corpo ritmico del disco, o faremmo meglio a dire lo scheletro, individuando in un 4/4 house a battito rallentato il proprio cuore rivelatore. Arrangiamenti ridotti all’osso. Voce in primo piano. Anzi, voci. Infatti il proprietario del locale, lo stesso di prima, quello del divano, lascia che sia l’ugola di una collega a spadroneggiare su ben due brani. L’effetto purtroppo non è dei più esaltanti, e il mood dei ritornelli cantati dalla nostra donzella votata alla dance, più che alla “nightlife” londinese, ci fa pensare a un vecchio cinepanettone dei Vanzina, o di Neri Parenti. Sarà colpa del mio immaginario stantio? Non lo so. Ad ogni modo chiedo a Kele quale sia il nome della vocalist. Silenzio.
Sarebbero molti i riferimenti da fare, e sono già stati fatti in altre sedi, ma invece di pescare nel mucchio degli artisti che costellano la storia dell’EDM e dell’House, mi preme di più sottolineare una certa assonanza stilistica, e spirituale, con “II”, album dei Desire risalente a pochi anni fa. Molti li conosceranno per “Under your spell“, canzone baciata dalle “magnifiche sorti e progressive” del download illegale, di I-Tunes, e delle visualizzazioni su YouTube, soprattutto per la presenza nella colonna sonora del film “Drive” di Nicholas Winding Refn. Ciò che manca a “Trick”, rispetto al disco dei Desire, è inaspettatamente una maggiore sensibilità pop, quel misterioso strumento di seduzione che dapprima incuriosisce, e man mano t’invade il cervello, sottoponendolo a una specie di esproprio POP-olare. E badate bene, stiamo parlando di “II” dei Desire, che per metà intriga, e per l’altra metà è una ciofeca. Poi certo, qua e là su “Trick” si captano alcuni rimandi a “Kid A” dei Radiohead, o alla prima Bjork. Ma andiamoci cauti. Molto cauti.
Non sfugge al nostro orecchio una patina suadente, fra il notturno e il griffato, oserei dire “post-dark”, che conferisce ai brani un’atmosfera vagamente cupa, talvolta minacciosa, agitata da rapidi scossoni, tutti concentrati nei ritornelli, come esige la prassi d’altronde. Un’oscurità di facciata, ad uso e consumo di avventori occasionali che cercano il sound più giusto da abbinare ai cocktail.
Un paio di volte l’esperimento sembra quasi riuscire (Coasting, Year Zero), mentre in un solo caso le ambizioni pop, house, e new wave si sposano a meraviglia (Stay the night), valorizzando il lato più intimista e sentimentale di Kele, che altrove nel disco si traduce in melodie a dir poco anonime, per nulla aiutate da falsetti, slanci soul, e altri tentativi di variare la proposta. Come era già accaduto con “Four”, quarta, e al momento ultima fatica dei Bloc Party, il timbro di Okereke da solo non basta a salvare la baracca.
Siamo ancora nel club. Mi avvicino a Kele. Non ha molta voglia di parlare. Del resto è il disco a parlare per lui. Al signor K.O va però dato atto di non aver mai rinunciato alla propria versatilità, o meglio, alla propria insofferenza verso le gabbie stilistiche che intrappolano l’animo di un artista. Lo testimonia la discografia fin qui realizzata con la sua band, che non si è mai adagiata del tutto sugli allori di “Silent Alarm”, sperimentando negli anni soluzioni ora più ostiche, ora più danzereccie, con esiti altalenanti. Gli faccio un cenno con la mano. Finalmente mi rivolge lo sguardo. A malincuore, gli comunico quanto segue.
“Caro Kele, perdonami, ma ritengo che il tuo disco sia oltremodo noioso. Voglio dire: è la classica montagna che sgravida il topolino. Le tue esperienze come cantante, come musicista , la tua capacità di spaziare dal pop, al punk, fino all’elettronica, e il tuo aver saputo coniugare, in passato, toni malinconici e critica tagliente, rivolta sia verso la società che ci circonda (Hunting for Witches), sia verso lo stallo in cui poltrisce la tua, la nostra, generazione, hanno avuto come culmine questo dischetto esile e pallosissimo? Partendo dal rock, eri riuscito a proiettare una luce sinistra sulla pista da ballo. E adesso? Adesso che volevi mettere a nudo il tuo cuore, e raccontarci delle tue emozioni più profonde, ci proponi un simile piattume? Pensa che sto rivalutando perfino “The Boxer”…
Dopo una lunga attesa, Kele mi degna del suo proferir verbo, invitandomi ad uscire. E Anche alla svelta.
Il sole è sorto. E infondo mi piacerebbe, in memoria dei tempi passati, poter scrivere sul muro “The boy on the couch reigns”, facendo il verso alla frase di un celebre film. Ma non posso. Perché non sono più lì. Mi sveglio. Scaravento via le cuffie. L’album è andato in loop per tutta la notte. Lo riascolto più tardi, a mente fresca. Rimango della stessa idea. E vi spiego perché, a mio parere, questo disco merita di essere stroncato.
Questo disco merita di essere stroncato perché emana noia e prevedibilità ad ogni singola pulsazione.
Questo disco merita di essere stroncato perché affida a melodie dozzinali, e schemi risaputi, il compito di mostrarci il lato più intimo di un artista.
Questo disco merita di essere stroncato perché tutto quello che ha da dire lo dice nell’ultima traccia. E se non gli dai fiducia è difficile arrivarci.
Questo disco merita di essere stroncato perché, salvo rarissime eccezioni, ti sembra sempre di ascoltare la stessa, brutta, canzone.
Questo disco merita di essere stroncato perché il talento di Kele è cristallino, e la sua è l’unica voce originale che sia emersa dal caravanserraglio della “New-New-Wave” targata anni zero. Insomma, vietato accontentarsi.
Questo disco merita di essere stroncato perché altri scriveranno, o hanno già scritto, che tutto sommato è una prova discreta. E io non ci sto.
Questo disco merita di essere stroncato perché il titolo “Trick”, già metteva le mani avanti.
E in ultima analisi, questo disco va stroncato perché, nel sogno, Kele mi ha cacciato dal suo locale. E un po’ me la sono legata al dito.
[schema type=”review” name=”Kele Okereke – Trick” author=”Marco Valerio” user_review=”1″ min_review=”1″ max_review=”5″ ]