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27 febbraio 2015 | Metropolis / Membran | gangoffour.co.uk | ![]() |
“CHI HA UCCISO I GANG OF FOUR?”
(Micro-dramma in due atti più epilogo)
Personaggi: L’Autodidatta, Il Maggiordomo, L’Assassino(?)
PRIMO ATTO
Voi non lo sapete, ma esiste un luogo, una stanza segreta, dove da anni un uomo ascolta ed immagazzina tutta la musica punk, post-punk, e new-wave che sia mai stata prodotta dal genere umano. Gruppo per gruppo. In ordine alfabetico. Nessuno sa il suo nome, nemmeno il maggiordomo che regolarmente mette piede nella “Byte-Caverna”, portandogli da mangiare, mentre il signorino è un tutt’uno col suo pc, un tutt’uno con la sua missione: essere un archivio vivente. Sembra un giorno qualsiasi, nella vita di quest’oscuro Autodidatta, di quest’uomo inconsistente, di questo vomito di nausea sartriana, ma ecco che all’improvviso tutto cambia, all’apparire del suo maggiordomo.
“Ciao Alfred, che sei venuto a fare? Mica è ora di pranzo”
“Lo so, signore, lo so. Ma c’è una cosa che devo dirle.”
“Avanti, sputa il rospo”
“È uscito il nuovo album dei Gang of Four”
“Una nostra vecchia conoscenza. Lo so bene”
“Si, ma vede, forse è il caso che…”
“Alfred, non farmi perdere tempo. Vai al dunque”
“Forse è il caso che lei non lo ascolti”
“Stai scherzando, spero? Lo sai che ho una missione. E sai
quanto mi piacciono i Gang of Four!”
“Proprio per questo, stavolta è meglio…”
“Stavolta è meglio che taci. E che sarà mai! Peggio del loro
disco precedente?”
“Molto peggio, Signore”
“Peggio di “Go Away White” dei Bauhaus?”
“Quello al confronto se la gioca con “In the Flat Field”, Signore”
“Basta, non c’è bisogno che tu dica altro. Vai via. Go Away Alfred!”
E così, incurante delle parole di Alfred, che l’ha messo in guardia, l’Autodidatta si dedica all’ascolto di “What Happens Next“. Ma è bene precisare che, in questo giallo intitolato “Chi ha ucciso i Gang of Four?”, il maggiordomo col delitto non c’entra niente.
PICCOLO RIPASSO
Se non lo sapete già, i Gang of Four sono stati una delle band più importanti della Storia, uno di quei gruppi cosiddetti “seminali”, e questo perché con il liquido spermatico della loro opera hanno fecondato la mamma di tante, tantissime band. Eh già, ne hanno di figli sparsi in giro per il mondo questi quattro malandrini. Roba da far impallidire i più incalliti poligami/fedifraghi/sesso-dipendenti del pianeta. Il loro erede più illustre? Forse Franz Ferdinand, nonostante tutto. Ma quali informazioni possiamo ricavare dal grandioso portato genetico dei Quattro? Era il 1979, quando i Gang of Four, pochi mesi dopo che Mark Stewart & Co. avevano mostrato la loro versione del Gruppo Pop, diedero alla stampe la loro visione dell’Intrattenimento, con “Entertainment!“, per l’appunto. E cosa c’era in questa loro visione, anzi, in questa loro sinEstEtica? Suoni ridotti all’osso, scarniti, scheletrici, ancor più del filo spinato dei Wire. Una tensione costante, un pauperismo sonoro che mortifica(va) la potenzialità pop di molti brani, costringendoli ad un atto di negazione, di protesta. La riaffermazione di un antagonismo dell’essere contro le mode omologanti, quelle mode che parlano con la stessa, ineludibile voce. Gelida, metallica, imperante. La Voce del Capitale. Un timbro capace di celarsi dietro mille camuffamenti. E se fosse stata una partita persa in partenza? Oltre al recupero di “Entertainment!”, urge un ripasso di Horkeimer/Adorno, reparto “Industria Culturale”.
SECONDO ATTO
Molte cose sono cambiate da allora, da quel magnifico disco d’esordio, non ultimo il fatto che la Gang of Four, ad oggi, si ritrova ad essere in sostanza una Gang of One, con il solo chitarrista Andy Gill a tirare avanti la carretta, dopo l’ecatombe seguita all’ultima reunion, che ha visto fra gli ammutinati lo stesso cantante Jon King. Poco male, direte voi. Infatti “Content“, uscito nel 2011, è un disco a dir poco imbarazzante. Un disco che tenta goffamente di stare al passo con i tempi, inciampando nel più triste degli scenari: maestri che fanno il verso agli allievi. E lo fanno anche male. E se in questo caso diciamo “The Rapture“, non ci riferiamo certo al disco di Siouxsie & The Banshees.
E DOPO CHE SUCCEDE?
Succede che Andy, nella sua testa, dev’essersi detto: “Perché concludere male una storia, quando puoi concluderla in maniera catastrofica?“. E questo quando persino l’imbarazzo suscitato da un disco come “Content” sembrava svanito nel dimenticatoio. Ecco, forse l’unica qualità di questo “What Happens Next“, se proprio vogliamo trovargliene una, è che difficilmente, una volta ascoltato, te ne dimentichi. Non certo per le canzoni, che rimangono impresse quanto degli scarabocchi fatti con l’inchiostro simpatico da bendati, ma per il senso di noia, e di torpore che ti si appiccica addosso fin dalla prima traccia, e che al termine di questi estenuanti quaranta minuti d’ascolto (scarsi), ti avvolge totalmente, inestricabilmente, come la muta di Venom.
Niente. Elettro-Pentagramma Piatto. Da “Where the Nightingale sings” in poi, è un continuo susseguirsi di riff banali, melodie anonime, arrangiamenti mediocri, e ospitate di lusso che si traducono in un nulla di fatto (Alison Mosshart, già voce dei The Kills e The Dead Weather). Neanche a farlo apposta, è proprio uno dei due brani cantati dalla suddetta artista, la blanda “Broken Talk”, ad assurgere a paradigma di questo nuovo percorso suicida, o peggio, di questo nuovo percorso che vede il creatore uccidere la propria creatura. Infatti, scavando affondo fra le varie stratificazioni sonore del brano in questione, che vorrebbero accorpare post-punk, hard-rock, ed elettronica, non è poi così difficile riesumare lo scheletro della vecchia “Not Great Men”, tratta da “Entertainment!”. Solo che stavolta, aldilà del sound, a mancare è proprio quella tensione critica fra l’essere e la cosa in sé, fra il pensiero e il nulla, fra il gesto rivoluzionaro e lo standard prefissato. Insomma, si potrebbe quasi dire che i Gang of Four, da avversari del sistema capitalistico, siano passati ad esserne il ritratto fedele e conciliatorio. La verità è che questo inutile gruppo electro-alternative-rock, in cui canta un certo John Sterry, e qualche volta Alison Mosshart, non ha nulla a che vedere con i Gang of Four.
EPILOGO
Alfred torna a far visita all’Autodidatta, al termine dell’ultima sessione d’ascolto.
“Signore, ha sentito il disco?”
“Si Alfred, e sono distrutto. I Gang of Four sono morti. Non esistono più”
“Vivranno nel ricordo dei loro album migliori”
“Ricordare, ricordare. Ormai si vive solo di ricordi.”
“Sa cosa penso? Penso che il loro ultimo disco assomigli esattamente
alla sua immagine di copertina: una figura architettonica che in teoria è proiettata verso il futuro,
ma che in pratica emana solo un senso di grigiore”
“Sai cosa penso io, Alfred? Che tu non sei pagato per pensare, e nemmeno
per darmi lezioni di senso estetico. Piuttosto, a che punto è il pranzo?”
“Quasi pronto, Signore”
E anche questa piccola storia volge al termine. A noi, amanti del post-punk, non rimane che consolarci ascoltando i The Pop Group, e il loro ultimo, splendido, “Citizen Zombie”. Per tornare alla domanda iniziale, ovvero “Chi ha ucciso i Gang of Four?”, direi che la risposta, a questo punto, è fin troppo semplice: non si è trattato d’omicidio, ma di furto d’identità. I Gang of Four sono ancora al sicuro, vivi e vegeti, all’interno delle canzoni e dei dischi che abbiamo amato, e che continueremo ad amare. A dare la notizia ci vorrebbe una di quelle presentatrici tv tanto avvezze alla cronaca nera, ma dovrete accontentarvi di me. Non c’è stato alcun delitto. E le vittime erano degli impostori. L’autopsia e l’esame del DNA l’hanno confermato. Impostori morti per noia e per distrazione. Traditi da un banale colpo di sonno, da un motore difettoso, e dalla solita brutta musica. Il caso è chiuso.
[schema type=”review” name=”Gang Of Four – What Happens Next” author=”Marco Tucciarone” user_review=”1″ min_review=”1″ max_review=”5″ ]