The Pop Group – Citizen Zombie

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E un sabato pomeriggio di svacco, qui sul Pianeta Marco, ultimo avamposto rimasto per lo sfogo narcisistico delle mie fantasie. Con buona pace di Freud. In poche parole, sono a casa. Sfumacchio, gironzolo, e mando a tutto volume “Citizen Zombie“, la nuova ed insperata opera targata The Pop Group, band capofila di quello splendido calderone chiamato Post-Punk, tornata dopo 35 anni di pausa creativa, se così si può dire. In mente ho ancora le partiture deformi di “Y” e la New Wave grottesca di “For how much longer do we tolerate mass murder?“. Del resto, brani sbranati e sbrananti come “She is beyond Good & Evil” hanno risuonato spesso nella mia adolescenza, e anche oltre. Ma aveva ragione Rachele Bastreghi quando cantava che:

Il futuro stava fuori dalla New Wave da liceale“?

Mica tanto.

I GRANDI INTERROGATIVI FILOSOFICI

Cos’è il Pop Group?

Cominciamo, molto banalmente, ad elencare quello che troviamo all’interno del Pop Group, inteso come entità prettamente musicale: No-Wave, Dub, impeto punk, aperture disco, spoken-word, urla, melodie scarne prolungate a suon di eco, improvvisi inserti di piano jazz, synth, campionamenti, chitarrine che strizzano un occhio al funk e l’altro se lo cavano con un plettro di vetro. Insomma, una vera e propria Babele Sonora. E così, nel confondersi di trame e sottotrame, a malapena illuminate da un tema centrale, si riflette il groviglio della Storia Maiuscola. Trame e sottotrame, dicevamo, temi centrali e ricorrenti, che quasi sempre finiscono col soccombere sotto l’assalto del contingente. E se fosse la forma canzone, o quello che ne resta, a non essere più necessaria? Il dilemma ontologico, almeno per il momento, rimane insoluto.

Ok, ma perché questo nome ?

Come se non bastasse, c’è anche l’articolo determinativo. Non un gruppo pop qualsiasi, ma “Il Gruppo Pop”. Una provocazione, certo, ma anche una dichiarazione d’intenti, di poetica. L’irrisione situazionista del male assoluto, della musica di consumo, della Merce, della reificazione, dell’asfittica reiterazione dell’identico. Allora, ecco che il Caos di cui sopra assume una valenza liberatrice, e critica allo stesso tempo, volta ad abbattere le barriere che negano ogni possibilità alla sfera dell’Eros. Resistenza contro l’Esistente. Una vecchia storia che ha attraversato secoli e secoli di vita terrestre, sotto varie forme, in varie declinazioni, e in contesti del tutto diversi, da Platone a Marx, da Nietschze alle Avanguardie: Libertà o Catene? Dioniso o il Crocifisso? Non a caso, un vecchio brano della band di Mark Stewart s’intitola “Thief of Fire“. Prometeo, vi dice niente?

È un sabato pomeriggio di svacco, qui sul Pianeta Marco. Ascoltando l’incessante fuoco di fila delle undici tracce di “Citizen Zombie“, rimango colpito in particolare da “Box 9“. E se davvero esistesse una scatola nera dell’Italia? Una scatola capace di svelarne i segreti più oscuri, i misteri più torbidi? Immaginate un Vaso di Pandora modello Remail che racchiuda i nomi dei rapitori di Emanuela Orlandi, la risposta alle domande sul caso di Italo Toni e Graziella de Palo, tutta la verità sul caso Moro, sulla strage di Bologna, et cetera obscura. Immaginate questo: una scatola che contenga la verità. Io l’ho fatto. Ed è successa una cosa strana. Mi ha bussato alla porta L’Uomo dei Misteri, sorta di sosia del Frank Langella di “The Box“, e quasi come nel film, ispirato ad un racconto di Richard Matheson, mi ha fatto dono della suddetta scatola, dicendomi:

Adesso potrai soddisfare ogni tua curiosità, ma sappi che, non appena la aprirai, una persona che non conosci morirà

E poi se n’è andato, fischiettando l’ultimo brano vincitore di Sanremo. Richiudo la porta. Sono confuso. Ho in mano la Scatola Numero Nove. Nel frattempo la bolgia etera di “Nowhere Girl” mi travolge casa. La Tracklist non fa sconti a nessuno, fra cittadini zombi, ragazze che abitano il nulla, bambini ombra. Siamo questo dunque? Inutili gocce di una società liquida? Fantasmi di fantasmi, sorvegliati dai Ghostbusters di “Echelon”, dai guardiani delle scatole nere?

Come al solito, di risposte non ne ho. So solo che “Citizen Zombie” è un album strepitoso. Pur nella sua breve durata, colma 35 anni di silenzio. Qui non si servono minestre riscaldate. L’attenzione per i suoni, insieme alla produzione, e allo stile inconfondibile della band, crea un ipotetico ponte fra passato e futuro, con una notevole differenza: il risultato finale è di gran lunga più accessibile rispetto a prima. Più accattivante, più ballabile, persino più melodico, eppure lontano anni luce dai consueti standard della musica di massa, dal pop radiofonico, e dalla voce del padrone che ci ipnotizza attraverso tv e rete, come cani ammaestrati. Essere riusciti a mettere maggiormente in risalto la forma-canzone, senza per questo rinunciare a divagazioni e deformazioni della struttura stessa, non è sintomo di rammollimento, ma di grande abilità compositiva.

Dallo sberleffo dance di “S.O.P.H.I.A” fino alla chiusura apocalittica di “Echelon“, passando per il discorso alla popolazione di “Nations“, la band mette a segno un colpo dopo l’altro, e si congeda dalla gara totalizzando il massimo dei punti a disposizione. E meno male che queste sarebbero le vecchie glorie!
Non molto tempo fa ho parlato di “Rivincita dei Cinquantenni”, vedi alla voce Edda, Morrissey, Shellac, Einsturzende Neubauten. Adesso alla lista si è aggiunto un altro nome.

“Citizen Zombie”. Un ossimoro. Solo in apparenza. Cittadino, abitante, residente. Morto vivente. Il baffone, in prima pagina, domina la scena, puntandoci l’indice contro, quasi come lo Zio Sam. Sembra dirci: “I Want You!”. Un esempio tardivo di Pop Art? Ad ogni modo, il messaggio è forte e chiaro: il totalitarismo non è morto, ha solo cambiato stilista. E balla al ritmo di “Box 9”.

Il disco è finito, e tante, troppe domande mi ronzano in testa, come mosche della malora. Finalmente ho deciso. Aprirò la Scatola Numero Nove. Un attimo. Perché fidarsi del sosia di Frank Langella? E se fosse l’ennesimo inganno? Ricordo bene le sue parole:

“Non appena la aprirai, una persona che non conosci morirà”

Purtroppo per me, ho letto Freud. Purtroppo per me, non sono Samuele Bersani. Sono davvero sicuro di conoscere me stesso? A volte ho i miei dubbi.

In Italia, come nelle nostre vite, ci sono scatole che non verranno mai aperte, archivi e dossier inabbissati nelle sabbie mobili dello Stato, ma c’è almeno una lezione che possiamo apprendere da questo grande gruppo pop, da questi attivisti dell’arte politica: la fantasia è nemica dei regimi. La fantasia è nemica del conformismo. La fantasia è il nostro piccolo, grande, immenso strumento d’effrazione. Questo è la fantasia. Un apriscatole.