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4 Agosto 2017 | Ipecac | bandcamp |
Già in passato Mike Patton aveva avuto modo di collaborare con Dave Lombardo, dando vita ai monumentali Fantomas: super gruppo capace di consegnare alla storia quattro incredibili album di avant-metal. Non deve dunque sorprendere quest’ultimo sodalizio che lo affianca nuovamente all’ex-Slayer sotto il moniker Dead Cross – progetto destinato a riempire una nuova pagina nella corposa agenda di appuntamenti dentro la quale l’artista californiano, da oltre due lustri, annota tutti i propri side-project.
“Be my war bride… (tampax)… We can’t remove the dark stain… An overdose of amor… Believe in what your gods say… A battle in-vitro… We cannot stop the bleeding… Where fetuses roam… Suppress the gag-reflex”.
L’incontenibile delirare di un mai domo Mike Patton – Faith No More, Mr. Bungle, Tomahawk, Peeping Tom e un’altra vagonata di progetti in curriculum – continua imperterrito. Subentrando come vocalist al posto di Gabe Serbian, si aggrega ad una band (già attiva dal 2015) che annovera fra le proprie fila anche alcuni componenti dei terrificanti The Locust.
Nulla da ridire su Patton, sia chiaro, ma è evidente che questa volta non sia lui l’unico protagonista dell’operazione. È soprattutto Lombardo a dare la spinta maggiore attraverso la quale – a colpi di rullante e doppia cassa – fa letteralmente esplodere questo breve eponimo debut album, dando testimonianza di un ferocissimo ultra-post-core.
Nella prima parte, il disco omaggia la vecchia scena hardcore americana – D.R.I, Suicidal Tendencies su tutti – non disdegnando interessanti variazioni sul tema: un esempio lo troviamo nella veemente “Shillelangh” o nella ancora più feroce “Divine Faith”, con Patton che sembra voler prendere ispirazione dagli indemoniati del film Evil Dead.
Con la cover di “Bela Lugosi’s Dead” dei Bauhaus, posta al centro del disco a divisorio, si innescano a seguire i contenuti della seconda parte dove ad attenderci sono le cose più ragionate. In particolare, i brani proposti sul finale – più interessanti, forse cerebrali ed in antitesi con quanto scritto all’inizio – mettono a dura prova i nervi: due perle di rara bellezza, dal testo allucinante ed incomprensibile, su cui Patton riesce a collocare Dead Cross nella propria stanza dei trofei.
“Gag Reflex” non spinge solamente verso angoscianti ambientazioni metropolitane (Faith No More), ma si manifesta come un singhiozzare di incubi metalcore e lugubri movenze sludge-doom, con Patton che ammonisce i presenti, annientandoli senza pietà nella conclusiva e blasfema “Church Of The Motherfuckers” – per affinità vicina ai Mr. Bungle più basici e squilibrati. Un ritmo elettrostatico break-beat, con sottofondo di esorcismi, che risucchia verso il tracollo, martella con fischi e ultrasuoni, porta all’esasperazione.
“PRAY!… It’s all on tape… All on tape: YOU!… Cardinal cartel… Pockets are full… Corrupt intel… Face down in the pool… Power absolute… An orgy institute… Who’ll pluck the fruit… From the stems of our screaming youth?… Celebrate… Baby rape… Under the cape… Baby rape… (puto)… Coyote”.
Album breve, si diceva in apertura, che rimanda a “Irony Is A Dead Scene” del 2002 – collaborazione avvenuta tra Patton ed i non meno tranquilli Dillinger Escape Plan. Oggi come allora, una estemporanea che rispecchia l’urgenza hardcore degli Ottanta – velocità cinetica, schizofrenia vocale, ritmi inumani, disagi sociali – in un contesto moderno e destrutturato nell’ottica furiosa e bondage dei free-formers Naked City.
28 minuti e 11 secondi sono appena sufficienti per capire la direzione che la band vuole intraprendere. “Dead Cross” è l’antipasto da servire a tavola in attesa della portata principale: ipotetico full-lenght che, a questo punto, attendiamo al varco. Anche se per il momento il risultato finale è notevole, rimane però la sensazione che qualcosa non sia andato per il verso giusto. Come se l’arrivo improvviso di Patton nei Dead Cross lo rimandi ad un ruolo marginale di semplice comparsa.
Attendiamo fiduciosi. Per il momento: for die-hard fans only…