Infondo, il problema di questo disco è che, dopo il tornado della suddetta “No dog”, tutto l’insieme, dalle melodie, fino alle trame di basso e chitarra, si avviluppa su di sé, senza più regalare forti emozioni. E non basta qualche squillo di tromba, o un pugno di vocalizzi alla Patti Smith nella penultima “Blood teachings” , per destarci dal torpore. Senza contare che la durata spesso eccessiva dei brani risulta ingiustificata rispetto all’effettiva quantità e qualità di spunti che possiedono. Si ha quasi la sensazione che le parti strumentali fungano da mero pretesto per i lunghi monologhi di Rachel. Ma forse mi sbaglio. Fatto sta che, sulla lunga distanza, a prevalere è la noia.