Jessie Ware – Tough Love

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EXERCISE#1

Una donna alla finestra. In una camera da letto inglese. Fuori la solita giornata piovosa. Aspetta il ritorno del suo amante. O forse no. Forse non aspetta nessuno. Adesso è sola, e pensierosa. Rimugina sul passato. L’amore è un vecchio film in bianco e nero. È pura nostalgia. È l’essenza dell’assenza. Tutto fa più male adesso. O forse no. Dal comodino l’iPad diffonde le note del nuovo album di Jessie Ware, dal titolo “Tough Love”. Una voce calda e seducente, ricca di venature R & B, ci racconta l’ennesima variazione sul tema “che strazio l’amore”. La donna è ancora lì, alla finestra. Suona il campanello. È lui. Corre ad abbracciarlo. Intanto dall’apparecchio fuoriesce “You and I (Forever)”, un brano che pesca a piene mani dagli anni ’80 più glamour per trapiantarli in uno spot pubblicitario del 2014. Gli stacchetti televisivi ringraziano.
“Abbracciami, baciami. Facciamo l’amore. E poi stasera ci guardiamo X-factor. Metti in carica l’Ipad”

EXERCISE#2

Tende rosse. Ricami floreali. La finestra di una camera d’albergo americana. Fuori il sole è impazzito. C’è una donna sul letto. E’ sola. Sta cantando una canzone. A tratti pare faccia il verso a Mariah Carey. La tv è accesa. Sintonizzata su Mtv. Videoclip a go-go. Videoclip anni ’90. Sul comò un santino di Madonna Ciccone. Intanto lei, nell’attesa, si struscia fra le lenzuola. Aspetta il suo lui, che puntualmente bussa alla porta. O forse no. È solo il servizio in camera. Ad ogni modo all’addetto, entrando, viene barzotto. Lei gli chiede di restare. E infila un brano dietro l’altro. “Cruel”, “Sweetest song”, “Kind of…sometimes…maybe” e “Pieces”. Il ragazzo se ne va, sfuggendo per miracolo alle sabbie mobili di una melassa pop che neanche la peggiore Alicia Keys. Neanche la Dido dei tempi d’oro (per lei). Delusa, la donna impugna l’iPhone. E’arrivato un messaggio.
“Stasera faremo l’amore, bambola. Metti in fresco lo champagne. Baci”

EXERCISE#3

Una ragazza sta per spegnere le fatidiche trenta candeline. Ha allestito una piccola sala da ballo in camera da letto. La festa è per pochi intimi. Nessuno degli invitati è ancora arrivato. Nel frattempo impugna un microfono, e fa le prove per il momento karaoke. Ha anche composto una canzone. S’intitola “Want your feeling”. Dio ce ne scampi. Il brano in questione riapre alcune ferite che noi, ingenuamente, credevamo ormai cicatrizzate, come i Moloko di Roisin Murphy, o l’assassinio sulla dancefloor di Sophie Ellis-Bextor. Anni terribili, che avevamo rimosso. E il brano va avanti, fra acuti alla Bee-Gees e luci stroboscopiche trafugate da qualche magazzino. Non serve neanche scomodare Moroder, gli ultimi Daft Punk, o i vecchi Scissor sisters. Siamo nel discount della Saturday Night Fever. Suona il campanello. Sono arrivati gli invitati. Non sanno cosa li aspetta. Poveri loro.

EXERCISE#4

Una ragazza si affaccia alla finestra. Sta aspettando un amico. Freme dalla voglia di vederlo. Non per fare quello che pensate. Lei è una cantante. È una musicista. E anche lui. Eccolo che arriva. Si sistemano in veranda, su delle adorabili sedie di vimini. Con lui c’è la sua fedele chitarra acustica. Una breve improvvisazione dà vita al brano “Say you love me”. Lei è Jessie Ware. Lui Ed Sheeran. E il pezzo è esattamente quell’impasto di folk abortito e banalità in odor di mainstream che vi aspettate. I pochi amici accorsi ad ascoltare sono commossi. Spero sia l’aria di campagna. Sempre che i campi di cipolle facciano quest’effetto.

FINE DEGLI ESERCIZI

Sgombriamo subito il campo da eventuali fraintendimenti: Jessie Ware ha una vocalità invidiabile, se anche per voi, come per gran parte del pubblico, è da invidiare solo e soltanto chi dispone di un veicolo canoro ineccepibile. Una voce estremamente duttile, pronta ad irrompere in classifica, non appena il produttore giusto estrarrà il singolo giusto dal suo cilindro. Detto questo, della seconda prova solista della cantante britannica, dopo “Devotion” del 2012, a stento rimane qualcosa, fatta salva l’intuizione, non certo geniale, di unire ritmiche di matrice dub-step ad una forma canzone pop di stampo più tradizionale. Davvero poche le composizioni degne di nota, forse la sola “You and I (Forever), se non altro per la sua linea melodica infallibile. Cosa resta dunque? Le ritmiche, dicevamo, che spesso rimandano al suo passato, ben più glorioso, con gli SBTRKT. Una voce piena e radiofonica, che cela un mondo ancora tutto da scoprire. Un ritornello da canticchiare sotto la doccia, in una camera d’albergo ai confini remoti del pop. E svariati richiami alle pagine più insulse della musica mainstream da almeno vent’anni a questa parte. Forse solo un modo per mettere in mostra le proprie abilità. Forse solo un esercizio di stile mal riuscito. Come questa recensione. Mi scusi Signor Queneau.

TRE COSE, PER CONCLUDERE

1. A questo punto credo di essere stato troppo duro nel distruggere “Trick” di Kele Okereke
2. Non ho più idea di cosa sia il pop. E mi sento un giovane dinosauro (O Dinosaur Jr, se preferite)
3. Vado a vedermi X-Factor. Magari imparo qualcosa. Hai visto mai.

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